di Nathan Greppi
A quasi trent’anni dall’attentato contro il centro ebraico AMIA di Buenos Aires, che il 18 luglio 1994 fece 85 morti e più di 300 feriti, la magistratura argentina ha dichiarato che l’Iran e Hezbollah sono i responsabili dell’accaduto. Per quello che risulta ancora oggi essere il peggior attentato terroristico nella storia dell’Argentina, i vari governi hanno per anni inquinato le indagini, colpite anche il 18 gennaio 2015 dalla morte del procuratore Alberto Nisman, che indagava sulle responsabilità del governo Kirchner. (Nella foto, la sede ricostruita dell’AMIA, con i nomi delle vittime).
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Per capire come sta vivendo la situazione attuale la comunità ebraica argentina (171.000 persone nel 2023, la più grande comunità ebraica di tutta l’America Latina), abbiamo intervistato Marisa Braylan, direttrice del Centro di Studi Sociali della DAIA (Delegazione delle Associazioni Israelite Argentine), organizzazione che rappresenta e riunisce 140 istituzioni ebraiche in tutto il paese.
Mentre siamo collegati tramite Zoom, la Braylan ci spiega che l’ufficio dal quale ci parla in videochiamata non è in un luogo qualsiasi: si tratta dello stesso dove nel ’94 avvenne l’attentato all’AMIA, la cui sede è nello stesso edificio di quella della DAIA. Dichiara che ritrovarsi a lavorare in quel posto ha per lei un significato profondo, ancor più dopo la sentenza sull’Iran e il recente attacco iraniano contro Israele.
Nella comunità ebraica, come è stata recepita la decisione dei giudici sull’Iran?
È stata accolta con grande gioia. Immaginate che, dopo trent’anni di impunità, i familiari delle vittime ottengano delle risposte su cosa è successo e perché, anche se è stato confermato qualcosa che in parte si sapeva già. Inoltre, ci sono le conseguenze legali: oltre a poter sporgere denuncia per crimini contro l’umanità, vi è la possibilità di chiedere all’Iran grossi risarcimenti economici. Tuttavia, ancora più importante dei soldi, che non possono certo compensare la perdita dei propri cari, è il fatto di riuscire ad ottenere finalmente delle risposte da parte delle istituzioni; ciò non è stato possibile per molto tempo, anche perché la nostra è una democrazia debole. E quindi, questo risultato ci rende molto felici.
Storicamente, quanto è diffuso l’antisemitismo in Argentina?
Nel complesso, l’Argentina non è un paese antisemita. Tuttavia, ci sono ovviamente singoli episodi di antisemitismo. Qui alla DAIA, negli ultimi 25 anni abbiamo pubblicato dei report annuali sull’antisemitismo in Argentina, raccogliendo le denunce e analizzando le varie informazioni in nostro possesso, sia in termini di quantità che di qualità.
Prima del 7 ottobre, avevamo una media che oscillava tra i 400 e i 500 episodi di antisemitismo all’anno. Tra questi, erano pochi i casi veramente violenti; la maggior parte avveniva su internet, mentre altri si verificavano per strada o nelle scuole.
Cosa è cambiato dopo il 7 ottobre?
Come nel resto del mondo, anche qui l’antisemitismo è aumentato considerevolmente, e i discorsi d’odio sono diventati molto più violenti. L’antisemitismo si è legato in particolare all’antisionismo e a delle teorie complottiste secondo cui gli ebrei controllerebbero il paese. In compenso, l’attuale governo è molto filoisraeliano e filoamericano, e il presidente Javier Milei ha stretti legami con la comunità ebraica, e in particolare con gli ebrei ortodossi.
In Argentina non abbiamo una grossa minoranza di origini palestinesi, come quella che si trova in Cile (quasi 500.000 persone, la più grande comunità palestinese fuori dal Medio Oriente). Abbiamo piuttosto grossi problemi con i gruppi di estrema destra ed estrema sinistra. Cosa peggiore, molti collettivi femministi non hanno detto nulla sugli stupri del 7 ottobre. Pertanto, il problema non è solo quello che la gente dice, ma anche quello che non dice.
Negli atenei occidentali, molti studenti e docenti cercano di imporre il boicottaggio d’Israele. Anche nelle università argentine è diffuso questo fenomeno?
Sì, ed è abbastanza simile a quello che succede negli Stati Uniti. Molti studenti ebrei si sentono minacciati da certi gruppi universitari; da un lato, vorrebbero solo finire gli studi e vivere tranquilli, senza litigare con i loro professori e i loro compagni di classe; dall’altro lato, fanno fatica a restare in silenzio di fronte a questa situazione. Il problema è più diffuso nelle università pubbliche che in quelle private, ma in generale si vedono molte bandiere palestinesi e slogan violenti contro Israele.
Per affrontare il problema, noi della DAIA abbiamo incontrato le massime autorità dell’Università di Buenos Aires, il più importante ateneo pubblico in Argentina. Insieme abbiamo cercato di stipulare un accordo e di prendere contromisure per combattere questo fenomeno.
A trent’anni dall’attentato all’AMIA, le autorità argentine sono più consapevoli delle minacce alla sicurezza della comunità ebraica? E cosa fanno per prevenire altri attacchi?
Noi della comunità abbiamo sempre il nostro servizio di sicurezza, che si coordina costantemente con la polizia federale. E oggi, mentre parliamo, mi trovo nello stesso edificio dell’AMIA. Dopo quei fatti, stiamo molto più attenti, ma penso anche che se vorranno attaccarci di nuovo, rimaniamo tuttora vulnerabili.
Naturalmente noi vogliamo continuare con la vita di tutti i giorni, e non vogliamo interrompere le nostre attività. Qui in Argentina la comunità ebraica è molto grande: abbiamo sinagoghe, scuole, club sportivi, e vogliamo continuare a vivere qui.
Dopo la sentenza sull’Iran, che speranze ritiene che ci siano di risolvere anche il caso Nisman?
Nell’attuale contesto politico, spero che anche su Nisman otterremo delle risposte. Nel 2018 venne confermato che si è trattato di un omicidio, ma la domanda è chi l’ha ucciso. Speriamo di riuscire a scoprire la verità al riguardo.