di Anna Lesnevskaya
L’invasione russa dell’Ucraina non ha solo sconvolto l’ordine geopolitico, ma all’interno della Russia stessa ha catalizzato tutti i processi repressivi che erano già in corso, lasciando sempre meno spazio alle voci fuori dal coro. E il mondo ebraico non è stato risparmiato da queste dinamiche. Ne sono la prova le notizie di questi giorni che arrivano da Mosca e da Israele.
La prima riguarda l’informazione diffusa in esclusiva dal Jerusalem Post martedì 5 luglio secondo la quale il governo russo avrebbe ordinato all’Agenzia ebraica di cessare l’attività in Russia. Il giornale israeliano ha fatto sapere che il ministero della Giustizia russo avrebbe mandato all’inizio della settimana una lettera con questo ordine alla Sochnut.
L’Agenzia ebraica aveva inizialmente confermato di aver ricevuto la lettera in questione, senza specificare quale sarebbe stata la risposta dell’organizzazione, che doveva essere concordata con il Ministero degli Esteri e l’ufficio del primo ministro d’Israele. Successivamente però la stessa Sochnut ha chiarito al Jerusalem Post che in realtà non ha ricevuto dal governo russo nessuna disposizione di fermare la propria attività e che quindi “tutti i piani dell’Agenzia e tutte le attività pianificate continuano normalmente”. La stessa smentita è arrivata anche dalla rappresentanza della Sochnut a Mosca.
“Come parte del continuo controllo e procedure d’ispezione condotte dalle autorità competenti in Russia da diversi anni e a seguito di una procedura di ispezione amministrativa durata più di un anno, l’ufficio dell’Agenzia a Mosca ha ricevuto recentemente una lettera dalle autorità [russe]”, si legge nel commento della Sochnut riportato dal Jerusalem Post. In questa comunicazione si parla soprattutto di alcune “questioni amministrative” e delle conseguenze legali che esse possono avere. Nella lettera si dice che l’Agenzia può rispondere per iscritto alle violazioni di carattere amministrativo che ad essa vengono contestate. “Per questo, l’Agenzia intende studiare in profondità il significato delle questioni sollevate e le loro implicazioni e risolverle di conseguenza nelle continue conversazioni con le autorità”, conclude la Sochnut nel suo commento.
Come ha spiegato a Mosaico Anton Ignatenko, presidente dell’Istituto della religione e della politica di Mosca, il fatto che il mittente della lettera sia il ministero della Giustizia russo e non quello degli Esteri, il quale per altro ha definito l’articolo del Jerusalem Post “una provocazione”, ci indica che le presunte violazioni riguardano non la rappresentanza russa della Sochnut, ma le organizzazioni istituite dall’Agenzia nel Paese.
Quali irregolarità vengono contestate alla Sochnut non è chiaro, ma la notizia fa parte del trend della crescente pressione sulle ONG in Russia esercitata tramite la legislazione che riguarda i cosiddetti “agenti stranieri”. Le organizzazioni russe che fanno capo alla Sochnut al momento non fanno parte del famigerato registro degli “agenti stranieri” del Ministero della Giustizia, ma, secondo Ignatenko, non è da escludere che lo potrebbero diventare in futuro. Secondo una nuova legge approvata recentemente dalla Duma russa e che entrerà in vigore dal 1° dicembre del 2022, “gli agenti stranieri” non potranno condurre attività formativa nei confronti dei minori. Una fonte di Mosaico nella comunità ebraica di Mosca ipotizza che nel mirino potrebbero esserci proprio le attività della Sochnut relative all’infanzia, come campi estivi o il programma Masa. Nel caso in cui l’Agenzia fosse dichiarata “agente straniero”, potrebbero essere colpite dal divieto.
La vicenda del Rabbino Capo di Mosca
Sullo sfondo del caso dell’Agenzia ebraica in Russia si è consumato anche l’ultimo atto della vicenda dello storico leader della Sinagoga corale di Mosca, Rav Pinchas Goldschmidt. Il 6 luglio la Comunità ebraica religiosa di Mosca ha annunciato lo scioglimento del contratto del Rav Goldschmidt che di conseguenza ha smesso di essere il rabbino capo di Mosca, dopo aver ricoperto questa carica da quasi trent’anni. Questa notizia è arrivata solo un mese dopo la rielezione del rabbino in sua assenza. Poco dopo l’inizio dell’aggressione russa, Goldschmidt aveva lasciato la Russia, giustificando la partenza con la necessità di assistere il padre malato, ma in seguito la sua famiglia ha spiegato che era stato costretto di partire dopo aver ricevuto pressioni dalle autorità russe affinché sostenesse la guerra contro l’Ucraina.
L’ultima goccia che ha portato all’addio tra l’influente rabbino di origini svizzere e la sua comunità può essere stata l’intervista rilasciata dal Rav Goldschmidt all’edizione in lingua inglese della rivista Mishpacha, pubblicata un giorno prima dell’annuncio sulla cessazione del suo contratto. In essa il rabbino condanna l’invasione russa e il corso preso dalla Russia (“sta viaggiando in una direzione ultranazionalista, odiando gli Stati Uniti e l’Occidente”) e spiega la propria scelta. “La tradizione è sempre stata quella di fare ciò che dice il poritz ossia il Cesare, ma oggi le cose stanno diversamente per una serie di motivi, – dice il Rav Goldschmidt. – Ottant’anni dopo l’Olocausto, noi ebrei siamo bravi ad accusare i tedeschi e i polacchi di essere rimasti in silenzio. Stiamo vivendo in un villaggio globale e il mondo intero sta ascoltando cosa facciamo e cosa non diciamo. Per questo non possiamo restare in silenzio”.
Anton Ignatenko commenta così il caso dell’ormai ex rabbino capo di Mosca: “Più va avanti l’operazione militare russa in Ucraina, più deciso dovrà essere il sostegno di questa operazione da parte di ogni leader religioso in Russia, lo spazio di manovra si restringerà sempre di più”. Stando alle impressioni che Ignatenko ha raccolto durante le sue frequentazioni della comunità ebraica di Mosca, i membri più attivi nella maggior parte condividono il corso del Cremlino. Per quanto riguarda le conseguenze dell’addio del rabbino Goldschmidt, da un lato, la comunità ha fugato i dubbi sul tribunale rabbinico, confermando che continuerà a funzionare sotto gli auspici del Gran Rabbinato di Israele, ma dall’altro lato il problema, come spiega l’esperto, saranno i finanziamenti che stanno diminuendo a causa delle sanzioni contro gli oligarchi russi, che sono tra i principali sostenitori.
Anche l’interlocutore di Mosaico all’interno della comunità ebraica di Mosca cita la questione delle donazioni in calo come una possibile conseguenza delle dimissioni del Rav Goldschmidt, il quale aveva tante opportunità per attirare finanziamenti, oltre a godere del sostegno del Gran Rabbinato di Israele. “Credo che sia andato via perché non vedeva più per sé alcuna prospettiva di lavorare in Russia”, commenta la nostra fonte, secondo la quale dall’inizio della guerra hanno lasciato il Paese tra 5 e i 7 mila ebrei moscoviti e altrettanti lo faranno entro la fine dell’anno. Prima del 24 febbraio 2022 la comunità contava circa 50mila persone. “La partenza di Goldschmidt per gli ebrei è come l’uscita di Ikea dal mercato russo per i consumatori. I mobili ci saranno, ma saranno di qualità peggiore e più costosi”, dice il nostro interlocutore. E continuando con lo stesso parallelo, aggiunge: “Soprattutto, siamo già abituati a Ikea e non vogliamo tornare nell’Urss”.
(Foto: la sinagoga corale di Mosca, foto di Yldemir Chakri)