Le rovine della sinagoga di Saranda, Albania

Albania: terra di rifugio per ebrei

Mondo

di Ilaria Myr

Le rovine della sinagoga di Saranda, Albania
Le rovine della sinagoga di Saranda, Albania

Un rabbino deciso dal governo? No grazie. È quanto ha dichiarato in una lettera molto arrabbiata al Jerusalem Post la comunità ebraica albanese, dopo che il governo aveva designato Rabbi Yoel Kaplan (in precedenza inviato dei Chabad a Salonicco in Grecia) nuovo rabbino nel Paese ex comunista.

Un rifiuto netto e secco, firmato da 34 dei 150 membri della piccola comunità ebraica locale, quasi interamente concentrata nella capitale Tirana. “Ci dissociamo totalmente da questo atto illecito e scorretto – recita la lettera – portato avanti in totale discordanza con le tradizioni storiche e religiose, oltre che con i principi del nostro Paese. Chiediamo a gran voce alle istituzioni albanesi e alle organizzazioni ebraiche internazionali di consultare in maniera preliminare la comunità ebraica albanese, prima di prendere qualsiasi decisione che impatta sulla sua dignità e vita ebraica, dal momento che non riconosciamo Rabbi Kaplan come Rabbino Capo di Albania”.

Kaplan, dal canto suo, cerca di calmare gli animi, a suo avviso, spaventati forse dal timore di perdere il loro ruolo di rappresentanti non ufficiali dei rapporti commerciali fra Albania e Israele. “Il mio unico compito è rafforzare la vita ebraica nel paese, stabilendo un centro comunitario attivo”. E, senza alcuna intenzione di lasciare la propria carica, Kaplan continuerà a esercitare la funzione affidatagli poco tempo fa dal governo in accordo con il Rabbinical Centre of Europe (RCE).

Alla cerimonia di designazione aveva partecipato anche un rappresentante del primo ministro Berisha e il rabbino capo di Israele Shlomo Amar, oltre a esponenti del mondo cristiano e musulmano in Albania. La vicenda rimane quindi, al momento irrisolta. Ma, al di là delle sua possibili soluzioni, quello che di importante emerge è la vitalità della piccola comunità albanese, che dimostra come ancora oggi anche nelle realtà più contenute l’ebraismo sia considerato un valore da preservare e anche difendere.

Una storia antica

L’ebraismo in Albania risale a 1300 anni fa. Ma è dal 16° secolo che si hanno notizie di insediamenti ebraici nelle maggiori città del Paese (Berat, Elbasan, Vlorë, Durrës) e nella regione del Kosovo. Si trattava soprattutto di ebrei sefarditi, discendenti dagli espulsi da Spagna e Portogallo nel 1492. Nel 1520 si contavano ben 609 focolari a Vlorë, dove fu anche costruita l’unica sinagoga mai sorta nel Paese, distrutta poi durante la Prima Guerra Mondiale. Una curiosità: fu proprio in Albania, nel porto di Ulqin, che fu esiliato il profeta ebreo Shabbatai Zevi, nel 1673.

In tempi più moderni, la presenza ebraica nel paese è andata notevolmente diminuendo. Il censimento albanese del 1930 contava 204 ebrei, a cui, negli anni ’30, con l’ascesa del nazismo, si aggiunsero non pochi profughi da Austria e Germania. E, già nel 1938, l’ambasciata albanese a Berlino continuava ad emettere visti di ingresso agli ebrei, in un’epoca in cui ancora non si parlava di sterminio. Durante la Seconda Guerra Mondiale l’Albania fu uno dei pochi Paesi in Europa a vedere incrementare la propria popolazione ebraica. E sebbene alla Conferenza di Wansee, nel 1942, Adolf Eichmann avesse parlato degli ebrei albanesi da sterminare, di fatto la popolazione ebraica sopravvisse sia all’occupazione italiana sia ai primi mesi dopo l’armistizio, l’8 settembre del 1943. Fu solo nell’aprile del 1944, sotto pressione tedesca, che 400 ebrei tedeschi e austriaci rifugiati a Tirana furono internati prima a Pristina, in Kosovo, e da lì trasferiti nel campo di concentramento di Bergen Belsen. A guerra conclusa, l’Albania poteva comunque contare ancora su alcune centinaia di ebrei all’interno dei propri confini.

Con l’avvento della dittatura comunista di Enver Hoxha e l’insediamento della Repubblica socialista del popolo di Albania, la comunità rimase isolata dal resto del mondo ebraico: erano bandite tutte le religioni, ebraismo incluso, in aderenza alla dottrina dell’ateismo dello Stato. Solo nell’era post comunista, una volta abbandonate queste teorie, viene riconquistata la libertà religiosa, anche se la presenza ebraica nel paese rimane tutt’oggi molto contenuta. Molti furono infatti quelli che, dopo il 1991, fecero l’alià in Israele, insediandosi soprattutto a Tel Aviv.