di Redazione
È un incubo senza fine. Ma loro non demordono, tengono duro, lottano e non si arrendono. Mercoledì, una delegazione composta dai familiari degli ostaggi israeliani detenuti dai terroristi a Gaza si è recata nei Paesi Bassi per presentare un’accusa contro i leader di Hamas presso la Corte Penale Internazionale dell’Aia (CPI) per crimini di guerra. Rivendicano giustizia e chiedono che le atrocità non rimangano impunite, poiché è fondamentale che il mondo, troppo spesso disinformato, indifferente o vittima di pregiudizi, sia pienamente consapevole.
Parenti, amici e avvocati sono arrivati con determinazione, molti di loro portando con sé le foto dei propri cari e piccoli mazzi di fiori. Le cronache riportano scene commoventi e insieme strazianti. Hanno trovato ad attenderli centinaia di sostenitori che, nonostante la pioggia e i forti venti, sventolavano le bandiere israeliane e cantavano: «Portateli a casa, adesso!».
La delegazione comprendeva circa un centinaio di persone, tra cui diverse dozzine di avvocati che hanno contribuito alla stesura di un documento dettagliato, composto da oltre 1.000 pagine, presentato alla CPI.
E così, uno dopo l’altro, sono stati presentati i documenti, evidenziando prove schiaccianti di genocidio, rapimenti, violenza sessuale, tortura e altri crimini orribili commessi dai terroristi di Hamas. Queste prove sono state raccolte in quattro mesi dall’ufficio legale del quartier generale delle famiglie degli ostaggi e si basano sulle testimonianze dei sopravvissuti ai massacri e degli ostaggi liberati.
La CPI è un tribunale situato all’Aia, nei Paesi Bassi, specializzato nel perseguire i crimini più gravi a livello internazionale, come il genocidio, i crimini contro l’umanità, i crimini di guerra e, più recentemente, il crimine di aggressione. La sua competenza si attiva quando gli Stati non possono o non vogliono perseguire tali crimini a livello nazionale. È importante sottolineare che la CPI non fa parte delle Nazioni Unite e non va confusa con la Corte Internazionale di Giustizia, anch’essa situata all’Aia e che è un organo dell’ONU, nello specifico è la Corte dove lo Stato del Sudafrica ha presentato il 29 dicembre 2023 un’accusa nei confronti dello Stato di Israele per atti di genocidio nei confronti del popolo palestinese presente nella Striscia di Gaza.
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Come riporta il Times of Israel, la presentazione dell’istanza è stata affidata a Shelly Aviv Yeini del Minerva Center for the Rule of Law under Extreme Conditions dell’Università di Haifa, insieme all’avvocato Yuval Sasson dello studio legale Meitar Law Offices. Anche l’Istituto per i diritti umani Raoul Wallenberg ha contribuito alla stesura del documento. Il Forum ha dichiarato che l’obiettivo immediato è ottenere mandati di arresto contro i leader di Hamas.
La dottoressa Aviv Yeini, capo del team legale del Forum sugli ostaggi e le famiglie scomparse, ha sottolineato che presentare la richiesta alla Corte non rappresenta soltanto un passo cruciale per coloro che cercano giustizia per le vittime, ma anche un mezzo per esercitare pressione affinché gli ostaggi siano rilasciati. «Questi crimini, tra cui il genocidio, la presa di ostaggi, le sparizioni forzate, la tortura e la violenza sessuale, non possono e non devono restare impuniti», ha affermato Aviv Yeini. «I responsabili devono essere chiamati a rispondere penalmente delle loro atrocità. Confidiamo nella capacità della Corte Penale Internazionale di portare giustizia agli ostaggi e alle loro famiglie». E ha aggiunto: «Questo rappresenta un passo importante per aumentare la pressione affinché gli ostaggi siano liberati e per incoraggiare i Paesi di tutto il mondo ad intraprendere azioni legali contro coloro che commettono tali crimini. Inoltre, segna il riconoscimento internazionale del fatto che detenere ostaggi è sempre illegale.
Dopo che la denuncia è stata presentata al tribunale, la delegazione ha marciato con centinaia di sostenitori, mentre i familiari hanno tenuto discorsi chiedendo il rilascio immediato degli ostaggi. Immagini grafiche degli attacchi del 7 ottobre sono state visualizzate su grandi schermi e i familiari sono saliti sul palco per raccontare le storie strazianti del 7 ottobre.
Di seguito le parole struggenti dei parenti, raccolte dal Times of Israel, tra i quali quelle di Raz Ben Ami, rapita a Gaza dalla sua casa nel Kibbutz Be’eri il 7 ottobre e rilasciata durante una tregua di novembre; ha parlato di suo marito Ohad , che è ancora tenuto in ostaggio nella Striscia: «Oggi è il giorno di San Valentino e Ohad, mio marito, l’amore della mia vita e il padre delle mie figlie, è ancora tenuto in ostaggio a Gaza. Penso a lui ogni giorno e ogni notte – ha detto Ben Ami –. Il 7 ottobre, quando centinaia di terroristi hanno invaso il mio kibbutz, il mio paradiso è diventato un inferno. Mio marito ed io siamo stati rapiti dai nostri letti, in pigiama, e portati brutalmente a Gaza». E ancora: «Amore mio, spero che tu possa sentirmi, spero che tu possa sentirmi. Sono qui che ti aspetto. Siamo venuti qui oggi per chiedere giustizia. Il mondo non può restare in silenzio. Ogni secondo che mio marito è in pericolo per la sua vita. Non ha tempo.
Yamit Ashkenazi, la cui sorella Doron Steinbrecher è detenuta a Gaza ed è stata vista in un video di propaganda pubblicato da Hamas il mese scorso, ha chiesto a sua volta l’immediato rilascio degli ostaggi: «Sono entrati nelle nostre case, ci hanno violentato, violentato e ucciso. Hanno preso mia sorella dal suo letto, dal posto che avrebbe dovuto essere il posto più sicuro al mondo per lei – ha detto alla folla –. Il mondo deve svegliarsi. Il mondo ha bisogno di aprire gli occhi, guardarci negli occhi e iniziare a riconoscere ciò che abbiamo passato. Il mondo ha bisogno di sapere che mia sorella è in un tunnel da qualche parte, al freddo, affamata, senza farmaci ed esposta alla violenza sessuale da 131 giorni».
Udi Goren ha dichiarato che uomini armati di Hamas hanno ucciso suo cugino e hanno portato il corpo a Gaza: «Non siamo qui come Stato di Israele. Siamo qui come famiglie di coloro che sono stati colpiti dal terrore del 7 ottobre», ha osservato Goren –. Lo stiamo facendo per tutto Israele, per tutti gli ebrei nel mondo e per tutti coloro che credono che la nostra regione meriti un futuro migliore. Una volta che avremo finito (di riportare gli ostaggi a casa), dovremo affrontare il secondo obiettivo, che è garantire il futuro di Israele. E non solo il futuro di Israele, il futuro della nostra regione, trovando una soluzione su come noi e i palestinesi possiamo continuare a coesistere pacificamente nella stessa regione».
«Questo è un passo cruciale nella nostra lotta, come cittadini dello Stato e del mondo, per dire basta. Tali crimini non possono rimanere impuniti», sono le parole di Ofri Bibas, sorella di Yarden Bibas, che è stato rapito con sua moglie e due bambini piccoli a Gaza, riportate dal sito di Euronews. A sua volta Sharon Kalderon, cognata di un ostaggio, ha detto di sperare nella giustizia: «Dopo il 7 ottobre sentiamo che non c’è giustizia. Quelli di Hamas ci hanno fatto del male, ci hanno ucciso, ci hanno picchiato, ci hanno violentato. Siamo qui per fare giustizia». Per Doris Liber, madre di uno degli ostaggi deceduti, «la prima cosa da fare è portare giustizia, ma soprattutto far capire alla gente che questo genere di cose esiste davvero. La gente nega le atrocità che sono state commesse lì».
Si ritiene che 130 ostaggi rapiti da Hamas durante il brutale assalto del 7 ottobre siano rimasti a Gaza – non tutti vivi – dopo che 105 civili sono stati liberati dalla prigionia di Hamas durante una tregua durata una settimana a fine novembre, e quattro ostaggi erano stati rilasciati prima. Tre ostaggi sono stati salvati dalle truppe, di cui una a novembre e due in questi giorni, e sono stati recuperati i corpi di 11 ostaggi, tra cui tre uccisi per errore dai militari.