Ieri, 22 settembre, di fronte all’assemblea dell’Onu il premier iraniano Mahoud Ahmadinejad avrebbe potuto parlare di molte cose – delle rivolte arabe dello scorso inverno per esempio, che hanno fatto cadere il presidente egiziano, provocato la guerra in Libia, portato il governo dell’amico Assad di Siria ad una guerra civile con migliaia di morti. Avrebbe potuto parlare del programma nucleare iraniano, oppure ancora commentare la questione del riconoscimento della Palestina. Invece ha approfittato del diritto di intervento alla 66ª Assemblea delle Nazioni Unite per attaccare ancora una volta, senza nessuna fantasia gli Stati Uniti e l’Occidente, provocando solo l’irritazione dei presenti e, nel caso delle delegazioni americana, italiana, ed europea l’abbandono dell’aula.
Ahmadinejad ha definito gli Stati Uniti e i suoi alleati, “potenze arroganti che minacciano chiunque metta in discussione la Shoah e l’11 settembre con sanzioni e azioni militari”; “che considerano il sionismo un’ideologia sacra”. Ahmadinejad ha accusato gli USA di usare “il misterioso attacco dell’11 settembre come un pretesto per muovere guerra all’Afganistan e all’Iraq”; ha definito poi i media occidentali “una rete imperialista” e “uno strumento colonialistico”.
Parole insomma già sentite e scene già viste; il solito copione che ormai non stupisce più nessuno e che sottolinea invece, una volta di più, la povertà argomentativa del premier iraniano.
Il portavoce della missione americana all’Onu, Mark Kornblau, ha condannato apertamente l’intervento di Ahmadinejad: “Aveva l’opportunità di parlare al mondo delle aspirazioni del popolo iraniano alla libertà e ad una vita dignitosa; invece ha approfittato della platea delle Nazioni Unite per i suoi aberranti insulti antisemiti e le sue detestabili teorie complottiste”.
Fuori del Palazzo di Vetro a New York, un gruppo di manifestanti iraniani, oppositori del regime, chiedeva a gran voce l’espulsione dell’Iran dalle Nazioni Unite.
Se Ahmadinejad ha accusato gli Stati Uniti di usare la Shoah come pretesto per sostenere la “sacra ideologia” sionista, il primo ministro turco Erdogan ha scelto l’assemblea dell’Onu per esporre alla platea della diplomazia internazionale le accuse che da oltre un anno rivolge ad Israele.
Erdogan ha descritto il conflitto israelo-palestinese come una “ferita sanguinante” che la comunità internazionale non può più accettare ed ha accusato Israele di vanificare ogni tentativo per risolvere la questione. “Israele, ha affermato, ha deluso i desideri e contraddetto le leggi del diritto internazionale, a cominciare dalle armi nucleari per il controllo dei territori occupati, fino alla questione degli aiuti umanitari”. ”Se si vuole inviare una scatola di pomodori in Palestina, bisogna passare attraverso l’approvazione di Israele, e non credo che questo si possa definire ‘umanitario’”. “Se il Medio Oriente è davvero pervaso dallo spirito del cambiamento, ha aggiunto ancora Erdogan, questo significa anche che Israele non può più continuare ad alimentare conflitti”.
La tensione fra la Turchia e Israele risale al maggio del 2010, quando l’esercito israeliano nel tentativo di bloccare lo sbarco della Flotilla degli attivisti pro-palestinesi a Gaza, uccise 8 dimostranti turchi e un turco-americano.
Sebbene le Nazioni Unite abbiamo dichiarato l’intervento israeliano un’azione legale di difesa del territorio, la Turchia rimane convinta che Israele in quell’occasione abbia fatto ricorso ad un uso eccessivo di forza.
E’ atteso per oggi il discorso del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu; sentiremo se e come risponderà a queste accuse.