Anche con un nuovo presidente, l’Iran resta ostile a Israele

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di Francesco Paolo La Bionda
Masoud Pezeshkian, il nuovo presidente eletto dell’Iran, è considerato una figura moderata, ma con la sua elezione non cambierà l’ostilità viscerale del regime verso Israele.

Di etnia mista azera e curda, sessantanove anni, già cardiochirurgo, Pezeshkian è un politico di lungo corso, che ha ricoperto nel tempo diversi incarichi politici, compreso un periodo come Ministro della sanità. Eletto presidente il 5 luglio scorso, nelle elezioni seguite alla morte di Ebrahim Raisi in un incidente in elicottero, il presidente eletto ha vinto ai ballottaggi contro il favorito Saeed Jalili, considerato un esponente dell’ala dura, e assumerà ufficialmente l’incarico a inizio agosto.

Un riformismo di facciata per allentare le sanzioni

Pezeshkian è considerato un riformista, ma sempre nell’alveo del regime. Egli stesso si è definito come un “riformista principalista”, vale da dire che colloca la volontà di cambiamento nel quadro dei principi cardine della rivoluzione islamica che ha dato vita all’attuale assetto politico del paese. Così, ad esempio, se in campagna elettorale ha criticato i metodi brutali con cui la polizia religiosa applica le leggi sul vestiario, si è però ben guardato dal criticare l’obbligo stesso di indossare il velo per le donne.

Inoltre, anche se il presidente eletto dovesse effettivamente promuovere alcuni dei cambiamenti promessi, come l’allentamento delle restrizioni sull’uso del web, dovrà scontrarsi con l’approvazione della Guida Suprema Ali Khamenei, che deve validare ogni decisione presa dal capo di stato.

Il ruolo di Pezeshkian sarà invece soprattutto quello di ricucire i rapporti con l’Europa, per cercare di dividere lo schieramento occidentale, soprattutto nell’ipotesi di una rielezione di Trump alla presidenza statunitense il prossimo autunno. L’obiettivo è quello di ottenere un allentamento delle sanzioni, possibilmente nel quadro di un ritorno ai negoziati sul nucleare iraniano, dato che, come ha ammesso lo stesso presidente eletto, l’economia del paese non può funzionare finché restano in vigore.

Israele resta il nemico giurato

Per quanto riguarda invece i rapporti con lo Stato ebraico, l’elezione di Pezeshkian non sembra destinata ad alimentare alcuna distensione. Già in campagna elettorale, aveva promesso che se avesse vinto, avrebbe cercato “di avere relazioni amichevoli con tutti i paesi, tranne Israele”.

E pochi giorni dopo il voto si è infatti affrettato a inviare un messaggio ad Hassan Nasrallah, leader degli Hezbollah libanesi, nel quale ha affermato che “la Repubblica islamica ha sempre sostenuto la resistenza dei popoli della regione contro l’illegittimo regime sionista” e che “sono certo che i movimenti di resistenza della regione non permetteranno a questo regime di continuare le sue politiche guerrafondaie e criminali contro il popolo oppresso della Palestina e di altre nazioni della regione”.

Il regime iraniano è da sempre il principale sponsor della milizia libanese, a cui, secondo il Dipartimento di Stato americano, fornisce ogni anno armamenti, addestramento e liquidità per centinaia di migliaia di dollari. Un supporto che nel corso dell’ultimo decennio Teheran ha esteso anche ad Hamas, nonostante le differenze dottrinali, fornendogli almeno 222 milioni di dollari tra il 2014 e 2020, secondo documentazione recuperata dalle forze israeliane a Gaza.