di Roberto Zadik
Dal sondaggio fra gli adolescenti ebrei americani all’antisemitismo in California che ha portato alcuni a levare la mezuzah dalle porte di casa
Paura, orgoglio, appartenenza e smarrimento, vari stati d’animo stanno attraversando gli adolescenti ebrei americani in questo momento così difficile per il mondo ebraico internazionale. E anche fra gli adulti, in California, la tensione regna sovrana.
Cominciando dagli adolescenti il sito Jewish Telegraphic Agency ha recentemente realizzato e pubblicato un interessante sondaggio. La ricerca ha coinvolto una serie di ragazzi provenienti dagli istituti e dagli Stati più disparati. Una fotografia sicuramente parziale di un contesto così ampio e variegato come l’ebraismo statunitense che però fornisce qualche esempio finora inedito delle opinioni e dei sentimenti di molti odierni teenager ebrei statunitensi. Le reazioni allo stato attuale dell’antisemitismo Usa sono spesso opposte fra loro. Si passa da coloro che sono orgogliosi della loro identità ebraica, come il diciassettenne Jacob Abowitz di Saint Louis che si definisce “fiero di essere ebreo e di portare sempre una Stella di David al collo”, ad Alissa Barnholtz sua coetanea sempre della Parkway Central High School che rivela di “essere sia felice che spaventata riguardo alla propria identità ebraica, nonostante sia sempre molto felice quando accendo le candele all’arrivo dello Shabbat”.
C’è chi poi va fiero del suo gruppo scolastico e dell’unità della propria comunità di appartenenza come Nathan Arst anche se sostiene che “molti coetanei che frequentano scuole con pochi ebrei si sentano smarriti e isolati”. Molto originale il punto di vista di Davis Brown sempre della stessa età e istituto che si definisce “sionista” evidenziando che questo elemento non derivi da motivazioni politiche “come per gli adulti mentre per noi adolescenti è qualcosa di collegato al nostro essere ebrei”.
Il sondaggio si estende a vari Stati, dal Colorado con Denver, ad Atlanta in Georgia, per arrivare allo Stato di New York, fino a Cincinnati nell’Ohio e all’Oklahoma. Molta unità ebraica e forte senso di solidarietà viene confermato da Nate Friedman, giovane studente della Riverhood School di Atlanta che ha descritto come i suoi coetanei ebrei “siano ben informati e molto solidali anche se disgustati da quanto sta accadendo, mentre molti ragazzi non ebrei minimizzano e scherzano su questa situazione e questo mi snerva”. Anche Holden Demain, quindicenne della Scuola superiore di Denver lamenta lo stesso senso di indifferenza e superficialità anche “se tutti hanno notato un aumento dell’antisemitismo negli ambienti scolastici, molti pensano che quanto accade in Israele non li riguardi e questo è profondamente sbagliato perché noi ebrei siamo tutti collegati fra noi”.
La newyorchese diciottenne Rachel Katzke si definisce molto orgogliosa delle sue radici ebraiche ma è invece fortemente indispettita dai social network che “ci inquadrano spesso come colonizzatori e gente che non ha mai vissuto in Israele”. Molto lucidi, determinati e con le idee chiare, vari adolescenti sono “spaventati da questa situazione” anche se vivono fuori da Israele, come Laureen Ellie Lavi, quindicenne della scuola di Edmond, nello Stato dell’Oklahoma mentre Celia Pincus, diciassettenne di Chicago dichiara di “sentirsi molto ebrea senza aver alcun bisogno di mostrarlo in giro indossando simboli ebraici o pubblicando post sui social”.
Appartenenza, senso della propria identità ma anche stanchezza per le contrapposizioni e timore per quanto sta accadendo caratterizzano anche le opinioni della quindicenne Ayala Spratt dela scuola Master Class che schernisce così lo scenario social “la gente si scalda a difendere una parte piuttosto che l’altra ma la gente sta morendo e viene uccisa e questo non è accettabile,
comunque la si pensi”. L’unico a denunciare episodi di antisemitismo nella sua scuola è stato il diciassettenne Andrew Wittenbaum, della Sycamore High School, di Cincinnati che ha raccontato al JTA di aver “visto delle svastiche disegnate nei bagni ” anche se dichiara di sentirsi piuttosto sicuro nella sua scuola e che essa sta facendo del suo meglio per contrastare questa ostilità antiebraica.
Cosa succede nel mondo degli adulti:
in California un aggressore semina il panico in una famiglia ebraica al grido “Palestina libera”
Molta tensione sta attraversando anche il mondo degli ebrei californiani. A Los Angeles, negli scorsi giorni nel quartiere di Studio City, alcuni ebrei sono stati terrorizzati da un uomo che ha fatto irruzione in una casa gridando “Palestina libera” e frasi antisemite. Subito dopo l’episodio molti vicini ebrei, per paura, hanno levato le mezuzot dagli stipiti delle loro abitazioni.
Lo racconta l’articolo uscito il 3 novembre, sempre sul Jewish Telegraphic Agency e firmato dal giornalista Andrew Lapin. Tutto sarebbe nato dal fatto che, secondo il resoconto del rabbino ortodosso Menachem Silverstein, l’aggressore prima di aggredire la famiglia avrebbe posto alcune domande sulla mezuzah. Per questo i vicini ebrei, nel timore che potesse accadergli la stessa cosa, hanno deciso di togliere le mezuzot.
Indignazione anche tra i non ebrei del vicinato; uno di loro ha rivelato di aver “avuto la pelle d’oca” in quel momento, proponendo agli ebrei di togliere le mezuzot. La questione della mezuzah, come ha sottolineato l’articolo, ha coinvolto vari luoghi, non solo negli Stati Unii ma anche in Europa, a Berlino e a Londra e grande è la spaccatura fra chi ha implorato di tenerla affissa alle case e chi invece ha invitato a toglierla per sicurezza. Ad esempio martedì 31 ottobre, la sera di Halloween, il Rabbino Marc Katz della sinagoga Ner Tamid, in New Jersey ha invitato alla massima cautela nell’esporre la mezuzah in questi tempi “anche se passata la minaccia, tutto può tornare alla normalità”.