di Nathan Greppi
Durante la Seconda Guerra Mondiale, la Bulgaria fu l’unico paese in tutta l’Europa orientale a salvare interamente la sua popolazione ebraica dalle deportazioni naziste. Una storia che il paese balcanico celebra sempre con orgoglio.
Tuttavia, anche qui non sono mancati casi di antisemitismo e di violenza verso gli ebrei; uno su tutti, l’attentato terroristico avvenuto il 18 luglio 2012 all’aeroporto di Burgas, pianificato presumibilmente da Hezbollah e che uccise 6 turisti israeliani e ne ferì altri 32. E all’inizio di aprile, la polizia bulgara ha trovato un deposito di armi legato a quattro presunti membri di Hamas arrestati a dicembre.
Per capire come stanno vivendo la situazione attuale gli ebrei bulgari (il cui numero oscilla tra i 2.000 e gli 8.000, secondo le statistiche più recenti e a seconda che si contino o meno le famiglie miste e i non iscritti alla comunità), e quali siano oggi i rapporti tra la Bulgaria e Israele, abbiamo parlato con la storica bulgara Rumyana Marinova-Christidi: responsabile del corso di laurea in Studi Ebraici dell’Università di Sofia e docente associata, è un membro della delegazione bulgara presso l’IHRA (International Holocaust Remembrance Alliance).
(Nella foto la sinagoga di Sofia)
Quanto era diffuso l’antisemitismo in Bulgaria prima del 7 ottobre?
Sono felice di poter dire che la Bulgaria rappresenta un’eccezione in Europa; storicamente, i livelli di antisemitismo sono tra i più bassi di tutto il continente. Negli ultimi anni, il Ministero degli Affari Esteri ha commissionato due tipi di sondaggi annuali sulla diffusione dell’antisemitismo: uno tra il pubblico generale, e l’altro all’interno della comunità ebraica. E tutti i dati dimostrano livelli estremamente bassi.
Per fare un esempio, l’82% dell’opinione pubblica nazionale ritiene che gli ebrei siano ben integrati nella società, e dentro la comunità ebraica questa percentuale sale ad oltre il 91%. Inoltre, due anni fa i dati mostravano che alla domanda su quanto gli ebrei si sentissero al sicuro nella vita di tutti i giorni, il 44% rispondeva “assolutamente sì” e il 43% semplicemente “sì”.
Prima del 7 ottobre, il governo bulgaro era già all’erta su una possibile crescita dell’antisemitismo. A differenza di molte altre nazioni, hanno preso contromisure in tempi non sospetti: nel 2017, la Bulgaria è stata uno dei primi paesi ad adottare la definizione di antisemitismo dell’IHRA, della quale divenne paese membro un anno dopo. Quasi contemporaneamente, è stato nominato un coordinatore nazionale per la lotta all’antisemitismo; se in altri Stati si tratta generalmente di un funzionario minore, in Bulgaria è anche il Viceministro degli Affari Esteri. Inoltre, sono stati firmati accordi con le principali organizzazioni ebraiche nazionali e internazionali, per instaurare una rete di cooperazione e scambio di informazioni.
Cosa è cambiato dopo il 7 ottobre?
Naturalmente, anche la Bulgaria è stata influenzata dai rigurgiti antisemiti avvenuti in tutto il mondo negli ultimi mesi. Si vedono maggiori espressioni di antisemitismo, ma per la maggior parte avvengono sui social, e ogni tanto trovi svastiche disegnate sui muri vicino alle sinagoghe. Ma non si è registrata nessuna aggressione fisica nei confronti degli ebrei. E la Bulgaria è uno dei pochissimi paesi in Europa dove non sono avvenute grosse manifestazioni contro Israele.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, la Bulgaria ha salvato tutti i suoi ebrei. Oggi, quanto viene tenuta in considerazione la memoria di questi fatti dall’opinione pubblica bulgara?
L’anno scorso, abbiamo commemorato l’80° anniversario del salvataggio degli ebrei bulgari. Credo che sia una delle maggiori fonti di orgoglio nazionale per il popolo bulgaro; tuttavia, durante la guerra la Bulgaria era alleata della Germania nazista, aveva adottato leggi fortemente antiebraiche, e vi era un accordo scritto per cui lo Stato si impegnava a deportare gli ebrei. Nonostante ciò, per circa tre anni, i quasi 50.000 ebrei presenti all’epoca in Bulgaria vissero tranquilli senza che nessuno venisse deportato.
La storia della Shoah viene insegnata approfonditamente nelle scuole, in tutti i principali libri di testo. Ciò si è intensificato a partire dal 2018, quando la Bulgaria divenne un membro a pieno titolo dell’IHRA. E l’Università di Sofia ospita l’unico corso di laurea quadriennale in Studi Ebraici presente in tutta l’Europa meridionale e orientale, e del quale sono la responsabile.
Alle Nazioni Unite, la Bulgaria ha recentemente votato contro la messa al bando delle vendite di armi a Israele. In generale, come si sono evolute le relazioni tra Sofia e Gerusalemme dai tempi del regime comunista ai giorni nostri?
Quando nacque lo Stato d’Israele, la Bulgaria fu uno dei primi paesi a riconoscerlo; e nonostante facesse parte del blocco comunista, il governo bulgaro consentì agli ebrei di emigrare in Israele con il beneplacito dei sovietici. Per questo, dopo la nascita d’Israele, circa il 90% degli ebrei bulgari fece l’aliyah.
Le relazioni diplomatiche tra i due paesi si interruppero nel 1967 dopo la Guerra dei Sei Giorni, in seno al più generale allineamento del blocco orientale a sostegno dei paesi arabi. Tuttavia, sebbene non vi fossero più relazioni ufficiali, dai documenti dell’epoca sappiamo che la Bulgaria rimase un intermediario non ufficiale tra Gerusalemme e Mosca. Questo perché anche durante la Guerra Fredda, la Bulgaria conservò un’immagine positiva in Israele, dove gli emigranti ebrei bulgari erano riusciti a mantenere dei contatti con i parenti rimasti nel paese d’origine.
Quando, dopo la caduta del comunismo, le relazioni ufficiali vennero ristabilite, queste divennero assai positive. Oggi la Bulgaria è un paese molto amico d’Israele, dando prova del proprio sostegno anche nei momenti difficili; dopo il 7 ottobre, tutte le forze di governo si sono dichiarate solidali con Israele e hanno condannato gli attacchi di Hamas. Il Primo Ministro e il Ministro degli Esteri hanno visitato Israele dopo gli attacchi, e l’hanno difeso nelle votazioni all’ONU. Anche dopo il recente attacco da parte dell’Iran, le forze politiche di ogni colore si sono espresse in difesa d’Israele.
In molti paesi occidentali, abbiamo visto studenti e docenti universitari chiedere il boicottaggio d’Israele. Nelle università bulgare, quanto è diffuso questo fenomeno?
Per capire la situazione, bastano due esempi: il 27 marzo di quest’anno, nella Facoltà di Storia dell’Università di Sofia, la più grande del paese dove anch’io insegno, ho invitato a parlare nel mio corso l’Ambasciatore israeliano in Bulgaria, per tenere una lezione sull’attuale situazione in Israele. E prima della lezione, abbiamo allestito dentro l’ateneo una mostra intitolata Bring Them Home, dedicata agli ostaggi israeliani rapiti il 7 ottobre.
Quando abbiamo fatto tutto ciò, nessuno è venuto a chiederci il perché o a fare polemiche. In quell’occasione, dissi: “Tutti gli studenti e i professori sono i benvenuti, e ci sarà un confronto dopo la lezione. Noi siamo un’università, un’istituzione accademica, e qui dovremmo poter discutere. Questa è la missione dell’università”. Al termine, gli studenti fecero molte domande all’Ambasciatore, anche su quello che succede a Gaza, ma è avvenuto in maniera rispettosa. Non ci sono state proteste.
Un altro caso è avvenuto nella prima metà di aprile: organizzai un incontro con una collega israeliana che insegna all’Università Bar-Ilan, esperta di affari turchi, che parlò dell’antisemitismo in Turchia e delle relazioni turco-israeliane. Era un incontro aperto a tutti, dove qualunque studente o docente era libero di entrare, e non c’erano misure di sicurezza all’esterno. Nonostante ciò, tutto si è svolto normalmente. Qualcosa che, da quel che mi dicono i colleghi all’estero, oggi non potrebbe accadere in altri paesi.
In Bulgaria è presente una consistente comunità musulmana di origini turche. In che rapporti sono con la comunità ebraica?
La comunità musulmana in Bulgaria, che comprende circa il 10% di tutta la popolazione, è molto diversa da quelle che si trovano altrove; per la maggior parte sono turchi che vivono qui da secoli, dai tempi dell’Impero Ottomano, e ormai hanno instaurato rapporti normali con il resto della popolazione. Sono bulgari a pieno titolo, e non hanno relazioni particolarmente negative né con gli ebrei né con i cristiani. Un altro fattore da considerare è il fatto che in Bulgaria la religione non ricopre un ruolo centrale, perché la società bulgara non è particolarmente osservante. Non ci sono tensioni di matrice religiosa qui.
Nel 2012, la Bulgaria venne colpita dall’attentato terroristico a Burgas, nel quale diversi turisti israeliani rimasero uccisi o feriti. Le autorità bulgare sono consapevoli dei rischi per la sicurezza della comunità ebraica locale?
Il governo bulgaro prende molto seriamente la sicurezza degli ebrei. E dopo l’attentato del 2012, sono stati fatti dei passi avanti nel prendere contromisure: per esempio, nell’ottobre 2023 il Consiglio dei Ministri ha adottato un piano d’azione in cinque punti per combattere l’antisemitismo. Inoltre, il Ministero della Giustizia ha istituito un gruppo di lavoro interistituzionale, del quale faccio parte anch’io, che ha il compito di elaborare emendamenti legislativi che vanno in due direzioni: combattere le attuali manifestazioni di antisemitismo, e garantire la sicurezza degli ebrei bulgari.
Le autorità bulgare sono riuscite a bloccare la Marcia Lukov, un raduno neonazista che viene organizzato ogni anno in onore del generale antisemita e filonazista Hristo Lukov, Ministro della Guerra negli anni ’30. Questa manifestazione, che presenta connotati antisemiti, per molto tempo è stata permessa a causa di un buco nella legislazione contro i crimini d’odio, in quanto gli organizzatori non si dichiarano apertamente neonazisti. I partecipanti locali sono pochi, ma spesso vi prendono parte anche neonazisti che giungono apposta da altri paesi.
Dopo diversi tentativi, da anni il sindaco e la polizia sono riusciti di fatto a bloccare la manifestazione. Ciò che stiamo cercando di fare ora, è di fare in modo che venga messa al bando definitivamente, cambiando la legislazione in merito.