di Fiona Diwan, direttore responsabile; e Claudio Vercelli, storico
Gentile Ambasciatore,
la Sua cortese lettera, che pubblichiamo QUI, ci ha colti di sorpresa e ci impone alcune considerazioni che, speriamo, Ella vorrà cogliere nella loro natura non polemica ma riflessiva.
L’articolo in oggetto, a firma di Paolo Castellano, non intendeva identificare l’Ucraina in quanto paese antisemita ma rilevare la presenza e la persistenza ancora di inquietanti risentimenti, tra una parte della popolazione, quindi come tali non del tutto risolti.
Su questo, ce lo concederà, non possiamo derogare. Non per giudicare un’intera nazione e le sue Istituzioni ma quei coni d’ombra che in Ucraina, come anche in Italia, permangono. Ognuno nella sua specificità, raccordata alle rispettive storie nazionali. Va da sé, pertanto, che quando si afferma ciò, non è bene che lo si disgiunga dai complessi e tormentati precedenti storici, laddove l’Holodomor stalinista prima e l’occupazione tedesca hanno inciso sulla viva carne del Suo Paese.
Così come, per parte nostra, non ci permettiamo di formulare un giudizio generalizzato sulle istanze indipendentiste e nazionaliste che storicamente l’Ucraina ha espresso ma, semmai, su eventuali ricadute antisemitiche, laddove esse possano essersi verificate. Anche su questo è bene essere chiari: l’uso politico, ancor più denigratorio, che da parte di terzi si può fare della dignità della storia nazionale di una comunità politica e sociale, non può impedire di identificarne in essa gli elementi problematici, laddove essi si siano eventualmente manifestati. Lei stesso ad un certo punto della Sua cortese lettera afferma che: «Quello che successe nel 1941 durante la Seconda guerra mondiale è ancora oggetto di controversie da parte degli storici».
In quanto magazine espressione dell’ebraismo italiano ed europeo, una valutazione nel merito della condizione dei correligionari, ci pertiene. Tanto più dal momento che l’Ucraina ha espresso un voto che ha portato ai vertici dell’esecutivo proprio degli ebrei. Cosa di cui, segnatamente, ci rallegriamo in quanto manifestazione di democrazia e integrazione.
La nostra eventuale perplessità sull’adozione di una legge, la 2558 del 2015, che nel suo dispositivo equipara il regime comunista e a quello nazista deriva proprio dal concreto rischio, espresso da autorevoli istituzioni ebraiche come il Simon Wiesenthal Center, di generare una completa indistinzione nelle responsabilità dei crimini che si perpetrarono nei confronti degli ebrei, in terra ucraina. Crimini contro di loro in quanto ebrei e non per altre ragioni. Un’indistinzione di cui, per inciso, lo stesso movimento nazionalista di quegli anni non se ne avvantaggerebbe, nella formulazione di un articolato e non frettoloso giudizio storico.
L’elemento per cui le autorità russe possano a loro volta avere rimarcato questo aspetto, nell’eventualità di un calcolo politico a proprio beneficio, non è quindi questione che possa impedirci un sereno ma necessario giudizio di merito. Comprendiamo le Sue preoccupazioni ma per parte nostra si tratta di una manifestazione del diritto di opinare sulle statuizioni legislative altrui, laddove queste possano avere riflessi che riguardano sia il presente che il giudizio sul passato di interi gruppi umani. Una serena visione del presente, laddove ci si riconciliati con il passato, non può implicare il piegarlo a veloci giudizi che, nella loro ricaduta sull’opinione pubblica, rischiano semmai di rafforzare preesistenti pregiudizi.
È una questione con la quale, come italiani, ci dobbiamo confrontare costantemente, quando osserviamo la nostra storia recente. Non ce ne vorrà quindi, di queste parole. Guardiamo con interesse e partecipazione allo sforzo democratico in atto nell’Ucraina, al quale ci accomuna lo storico insediamento ebraico, parte integrante, in entrambe le nazioni, della costruzione della loro identità civile, sociale e morale.
Ricambiando i cordiali saluti
Fiona Diwan, direttore responsabile
Claudio Vercelli, storico