Com’è lontana la Cina se sceglie Mosca, Teheran e Hamas: la crisi di una diplomazia decennale

Mondo

di Giovanni Panzeri

Cina e Israele: dalla collaborazione economica alla distanza politica. Strette relazioni commerciali con Israele, una “intesa cordiale” e interessi comuni: porti, commerci, high-tech… Un’amicizia che rischia di sfumare a causa della vicinanza della Cina all’Iran e dal rifiuto di riconoscere il massacro del 7 ottobre. Ma oggi la Cina rivendica un ruolo da protagonista sullo scacchiere mediorientale e non rinuncia ad affermare la propria leadership anche qui 

Da sempre, la Cina ha tradizionalmente mantenuto un approccio cauto verso gli equilibri mediorientali, adattando la sua politica alla realtà di una regione normalmente soggetta alla supremazia statunitense. Ecco perché, fino a poco tempo fa, la Cina si era generalmente limitata a sviluppare rapporti commerciali ed economici con tutte le potenze della regione, in particolare Iran, Israele e Paesi del Golfo, senza tuttavia cercare di diventarne un referente militare e diplomatico.
La situazione è tuttavia cambiata e, nel corso dell’ultimo decennio, Pechino ha iniziato a mettere gradualmente in discussione la supremazia americana, accompagnando al lancio della Nuova via della Seta (Belt and Road Initiative) una serie di iniziative diplomatiche volte a espandere la propria influenza nella regione e rendere la Repubblica Popolare il principale arbitro nel gestire i conflitti mediorientali. È in questo senso che si possono leggere, ad esempio, la sua partecipazione alle trattative sul nucleare iraniano nel 2015, la riconciliazione tra Iran e Arabia Saudita nel 2023, il riconoscimento del regime talebano in Afghanistan e il recente tentativo di ricomporre il conflitto tra le due principali fazioni palestinesi, Hamas e Fatah.

Il cambio di passo, compiuto da Xi Jinping nel 2014, è stato determinato dal fatto che la Cina ha iniziato a vedere l’estensione della sua influenza nella regione come una necessità fondamentale per la sicurezza nazionale. “Nel tempo -, spiega Alexandra Tirziu nel suo report al GIS (Geopolitical Intelligence Service) –, quest’influenza crescente potrebbe permettere alla Cina (…) di stringere trattati regionali in linea con la necessità di proteggere il suo Stato-partito e perseguire l’obiettivo di formare un ordine globale alternativo”. È da sottolineare che pur intervenendo in modo sempre più deciso nella regione la Cina è finora riuscita a mantenere buone relazioni con tutte le parti in causa, incluso lo stato d’Israele, il principale alleato del rivale americano nel settore, con cui Pechino ha sviluppato nell’ultima decade rapporti economici e commerciali sempre più stretti, nonostante il suo sostegno formale alla causa palestinese e i rapporti con l’Iran. Proprio questa relazione tuttavia rischia di essere messa in forse dallo scoppio del recente conflitto tra Israele, palestinesi e iraniani.

Ma come versa lo stato delle relazioni sino-israeliane oggi? Nel corso dell’ultimo decennio i rapporti commerciali ed economici tra Cina e Israele si sono fatti sempre più stretti e fitti. La Repubblica Popolare è infatti diventata nel giro di pochi anni il principale partner commerciale dello Stato ebraico in Asia e il secondo, dopo gli Stati Uniti, a livello mondiale. Gli investimenti cinesi in vari settori dell’economia israeliana, dall’hi-tech alle infrastrutture fino agli scambi culturali, sono fioriti soprattutto tra il 2013 e il 2019 per poi essere limitati pesantemente dalle pressioni statunitensi sul loro alleato mediorientale. Al contrario i rapporti prettamente commerciali sono rimasti fiorenti, e caratterizzati da una forte esportazione in Israele di prodotti cinesi, aumentata fortemente durante gli anni della pandemia.Tuttavia se i rapporti commerciali sono, per ora, rimasti stretti, negli ultimi anni i rapporti diplomatici si sono fatti gradualmente più freddi, in parte in seguito alle pressioni degli USA, in parte a causa del deciso sostegno cinese alla causa palestinese e all’Iran, anche in seguito allo scoppio del nuovo conflitto il 7 ottobre 2023.
Gli israeliani sono infatti rimasti oltraggiati dall’esitazione cinese nel condannare gli attacchi di Hamas e dal rifiuto di condannare il contrattacco iraniano dello scorso aprile. Di contro, invece, la Cina ha disapprovato fermamente l’intervento israeliano nella Striscia di Gaza, l’attacco israeliano alla sede dei pasdaran iraniani in Siria e sostenuto la denuncia di Israele per genocidio presentata dal Sudafrica alla Corte di Giustizia Internazionale. Una serie di azioni che lo Stato ebraico vede come una negazione del suo diritto a difendersi da parte della Repubblica Popolare.

Inoltre la Cina ha ospitato una delegazione di Hamas e Fatah a Pechino lo scorso aprile, con lo scopo di promuovere la riconciliazione delle due fazioni palestinesi. Come spiega il quotidiano Guardian, Xi Jinping ritiene infatti che “l’unità palestinese sia una precondizione necessaria alla formazione di un coerente piano di governo di Gaza e della Cisgiordania, in qualunque modo si risolva il conflitto”. Dal canto loro, gli israeliani hanno inviato una delegazione parlamentare a Taiwan, firmato una dichiarazione congiunta all’Onu che condanna la Cina per violazioni dei diritti umani contro gli uiguri, sembrerebbe stiano pensando a modi di diminuire la dipendenza dalla Cina nel settore hi-tech e fermare l’acquisizione cinese di una parte del porto di Haifa.
Un sondaggio rilasciato a maggio dall’Institute for National Security Studies (INSS) di Tel Aviv rivela inoltre che il 54% della popolazione israeliana considera la Cina un paese ostile, mentre solo il 15% la vede come un alleato. Una tendenza completamente invertita rispetto al 2017.

 

Le relazioni sino-iraniane
Le sempre più strette relazioni diplomatiche e militari sino-iraniane sono inoltre un altro dei fattori che mettono a rischio i rapporti tra lo Stato ebraico e la Repubblica Popolare.
Non a caso, nonostante si fosse precedentemente schierata contro gli esperimenti nucleari iraniani, Pechino si è molto avvicinata al regime persiano negli ultimi anni, sperando di usarlo per contrastare l’influenza americana nella regione. Nel 2021 la Cina ha infatti stretto un accordo di cooperazione venticinquennale con lo Stato iraniano che, come riportato su Limes, prevede “l’investimento di 280 miliardi di dollari nelle industrie iraniane di petrolio, gas e petrolchimica e altri 120 miliardi nelle strutture delle telecomunicazioni e dei trasporti del paese”. A questo accordo è seguita, nel 2023, una serie di 20 accordi bilaterali stretti con il defunto presidente persiano Raisi, durante “la prima visita di stato in Cina di un leader persiano negli ultimi 20 anni”. Dal punto di vista della cooperazione militare, sempre secondo Limes, Pechino rifornisce l’Iran di armi e carburante per missili, oltre ad organizzare esercitazioni militari navali trilaterali con Iran e la Russia, l’ultima delle quali si è tenuta nel 2024.
Questa crescente cooperazione si è sviluppata nonostante le riserve cinesi verso le operazioni degli Houti, sostenute dall’Iran, che hanno bloccato ai commerci navali la rotta che per raggiungere l’Europa passava attraverso lo stretto di Hormuz.
Conclusioni? È difficile prevedere come le relazioni evolveranno in futuro, ma è bene ricordare che, nonostante le tensioni, Israele e Pechino rimangono tuttora stretti partner commerciali, come testimonia tra l’altro il fatto che la Cina sia diventata il principale fornitore di automobili per Israele nel 2024.
Tuttavia, come scrive il Guardian, è chiaro “che siamo ben lontani dal 2017, quando Netanyahu si recava a Pechino parlando di ‘un matrimonio in paradiso’”.