Condannato l’accoltellatore di Mosca

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Non ci interessa molto da vicino, comunque i nostri giornali non ne hanno parlato, eppure si tratta di un episodio significativo sia per l’attentato in sé sia per la punizione inflitta dalle autorità russe, sia per le motivazioni addotte a spiegare il crimine.

Forse ce lo siamo dimenticato, ma avvenne che l’11 gennaio di quest’anno un giovane russo si precipitò nella Grande Sinagoga di Mosca durante le preghiere del sabato e pugnalò, per fortuna non mortalmente, nove fedeli, e sembrò che per le tiepide reazioni delle autorità non si fosse data all’evento l’attenzione che meritava. Poi si parlò di una sua cattura e tutto finì lì.

Ora apprendiamo dai giornali israeliani che l’attentatore, un giovane di vent’anni, è stato condannato a 13 anni di prigione dal tribunale di Mosca. La condanna è relativamente severa, anche se l’accusa aveva richiesto 16 anni. L’accusa fu di tentato omicidio, aggressione e attività tese a umiliare un gruppo religioso o etnico, che è la clausola legale russa contro l’antisemitismo.

Nella sua difesa l’attentatore ha dichiarato che il suo gesto era stato ispirato da libri letti e dati trovati su internet. Secondo le sue parole, “la legge criminale è stata scritta da ebrei e mafiosos ebrei e quindi io rifiuto di riconoscere la mia colpa.”

La sentenza di condanna è stata accolta con soddisfazione. Tuttavia esponenti della comunità ebraica di Mosca hanno detto che l’incidente prova che xenofobia e antisemitismo negli ultimi anni sono in aumento in Russia e hanno criticato il governo per aver fronteggiato tali crimini di opinione e di odio con troppa leggerezza.