di Paolo Castellano
Il 5 febbraio la Corte penale internazionale ha accolto le richieste della leadership palestinese, stabilendo di avere giurisdizione per avviare inchieste in base alle accuse di violazione dei diritti umani e di crimini di guerra in Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est.
Dopo aver appreso la notizia, l’attuale premier israeliano Benjamin Netanyahu è andato su tutte le furie, dichiarando che si tratti di “puro antisemitismo” e di una “decisione politica”. Sulla stessa linea anche gli Stati Uniti che hanno fatto notare che al momento i palestinesi non possono essere qualificati uno Stato sovrano.
Come riporta il Jerusalem Post, le azioni legali per crimini di guerra potrebbero colpire Netanyahu, i ministri della Difesa e altri importanti funzionari israeliani che hanno lavorato per arginare la violenza palestinese dal 13 giugno 2014. Senza protezione anche soldati e comandanti, che potrebbero subire dure pene.
Nella dichiarazione rilasciata dalla Corte penale internazionale con sede all’Aja si legge così: «Si è deciso, a maggioranza, che la giurisdizione territoriale della Corte sulla situazione in Palestina, uno Stato membro dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale, si estende ai territori occupati da Israele dal 1967».
Ora la questione tornerà nelle mani del procuratore capo della Corte penale internazionale, Fatou Bensouda, per procedere con ulteriori indagini sulla possibilità di intentare cause per crimini di guerra. Tale percorso potrebbe essere molto lungo. Su Twitter, lo staff di Bensouda aveva scritto che si sarebbe trattata di una decisione “indipendente e parziale”. Però, a detta degli israeliani, si è giunti a una disposizione politica.
«Oggi si è dimostrato ancora una volta che la Corte è un’istanza politica e non giudiziaria», il piccato commento di Netanyahu. «La Corte ignora i veri crimini di guerra e al suo posto perseguita lo Stato di Israele dotato di una democrazia che rispetta lo Stato di diritto». Il premier israeliano ha poi sottolineato che lo Stato ebraico non faccia parte della Corte penale internazionale, aggiungendo che la sentenza dell’Aja danneggia le nazioni che combattono contro il terrorismo.