di Nathan Greppi
Negli anni 2016 e 2017, i capi della comunità ebraica e della minoranza serba in Croazia hanno boicottato le ultime due commemorazioni della Shoah promosse dal governo. Il motivo? Secondo loro è in corso un processo di revisionismo storico allo scopo di riabilitare il regime degli Ustascia, il movimento nazionalista che durante la Guerra, sotto la guida del dittatore Ante Pavelic, ha ucciso decine di migliaia di ebrei e centinaia di migliaia di serbi. Un atteggiamento che richiama quello recente della comunità ungherese contro le commemorazioni ‘di facciata’ del governo Orban.
Avvenimenti recenti
Secondo una lunga inchiesta del Tablet Magazine, l’attuale attrito tra gli ebrei e il governo è arrivato a un punto di non ritorno nel marzo 2016 quando, durante una partita Israele-Croazia, i tifosi croati gridarono il motto degli Ustascia “Za dom spremni” (Pronti per la patria) in presenza del Primo Ministro Tihomir Oreskovic, il quale è rimasto seduto senza dire niente. In seguito egli rilasciò una dichiarazione in cui affermava che “il governo croato, e io stesso, disapproviamo i crimini del regime degli Ustascia.” Tuttavia, aggiunse anche che “la sua riesumazione è condannata solo in via eccezionale.”
Un caso analogo si verificò nel 2015, quando il Presidente Kolinda Grabar-Kitarovic dapprima, durante una visita alla Yad Vashem di Gerusalemme, chiese scusa a tutte le vittime della Shoah uccise in Croazia; senonché, in una successiva visita in Canada, si fece fotografare con alcuni emigrati croati che tenevano la bandiera del governo degli Ustascia.
Altrettanto scandaloso è stato un evento verificatosi nell’aprile 2016, quando il Ministro della Cultura Zlatko Hasanbegovic assistette alla prima del documentario Jasenovac – La Verità. Questo film sostiene che Jasenovac, il più grande campo di concentramento della Croazia (nella foto in alto), fosse in realtà un campo di lavoro e che il numero di chi vi fosse morto sia esagerato. Hasanbegovic elogiò apertamente il film, dichiarando che “questa è la via migliore per fare finalmente luce su molti luoghi controversi della storia croata.”
Nel dicembre 2016, invece, diversi veterani delle Guerre Balcaniche degli anni ’90 misero a Jasenovac una targa che, oltre a ricordare i loro commilitoni caduti, riportava il già citato slogan “Za dom spremni”. Nel settembre di quest’anno è stata rimossa, ma solo per essere spostata in un altro punto.
Il contesto storico
I fatti legati alla Shoah verificatisi nei Balcani sono sempre stati meno approfonditi di quelli in altri paesi dell’Est Europa. Come ha fatto notare lo storico inglese David Cesarani nel saggio Final Solution: The Fate of the Jews 1933-1949, dopo lo smembramento della Jugoslavia nell’aprile 1941, vi erano 80.000 ebrei in quel territorio, che però a parte lo stato semi-indipendente degli Ustascia (che comprendeva anche gli attuali stati di Slovenia e Bosnia) era stato spartito tra quattro paesi dell’Asse: Germania, Italia (che controllava la Dalmazia), Ungheria e Bulgaria. In ognuna di queste aree, i massacri sono avvenuti in tempi e con numeri diversi.
C’è anche un altro aspetto da non dimenticare: mentre in gran parte dei territori dell’Asse il genocidio è stato perpetrato soprattutto da tedeschi, a volte aiutati da abitanti del posto, la Croazia fu forse l’unico paese in cui i fascisti locali uccisero gli ebrei senza la partecipazione dei tedeschi. In quel periodo, 30.000 ebrei croati furono uccisi, tanto che il camp o di Jasenovac viene spesso chiamato “l’Auschwitz dei Balcani.”
Ciò che avvenne dopo
Quando la Croazia, nel 1991, dichiarò la propria indipendenza dalla Jugoslavia, il suo primo presidente eletto, Franjo Tudjman, sostenne che il numero di ebrei morti nei campi era inferiore a quello ufficiale. Inoltre, cercò di riabilitare gli Ustascia, dichiarando che i croati fascisti e antifascisti meritavano lo stesso rispetto per aver servito il paese. Come ha dichiarato il New York Times nel 1997, “Forse nessun paese ha fallito tanto quanto la Croazia nel fare i conti con la propria eredità fascista.” Infatti, sebbene Tudjman da giovane avesse combattuto contro i nazisti assieme ai partigiani di Tito, ciò non gli impedì di nominare ministri degli ex-ufficiali Ustascia. In più, egli ripristino come moneta nazionale la Kuna, la valuta dei tempi di Pavelic. Ciò suscitò numerose reazioni da parte degli ebrei croati, tra cui quella di Ognjen Kraus, l’allora capo della Comunità Ebraica di Zagabria: “Non può riconciliare vittime e macellai. […] Nessuno ha il diritto di portare avanti una riconciliazione in nome di coloro che sono scomparsi.” Ugualmente arrabbiato fu Ivo Goldstein, storico medievale dell’Università di Zagabria: “Questo è un insulto e un’offesa nei confronti dei serbi, gli ebrei e i croati che hanno combattuto contro il regime degli Ustascia.”
Una tendenza diffusa
Purtroppo quello della Croazia non è un caso isolato, ma è parte di una tendenza sempre più diffusa nell’ex-blocco sovietico: in Bulgaria, ad esempio, il partito Ataka ha vinto dei seggi a ogni elezione parlamentare sin dal 2005. Questo partito, il cui nome deriva dal quotidiano Der Angriff fondato da Joseph Goebbels, è noto per le sue posizioni molto intolleranti nei confronti di ebrei, zingari e musulmani.
Un altro caso di glorificazione del proprio retaggio fascista è quello del Partito Popolare Slovacchia Nostra, il cui fondatore, Marian Kotleba, dal 2013 è stato eletto governatore della regione di Banskà Bystrica (grande quanto le Marche). Altri paesi che hanno dimostrato di non essere immuni a questa tendenza sono l’Ucraina e i paesi baltici, dove è facile trovare vie dedicate a chi ha collaborato con i nazisti.