di Leone Finzi
Si registra spesso uno strano corto circuito sui giornali italiani quando si tratta di israeliani e palestinesi. Niente di nuovo, lo sappiamo, ma, ogni tanto, ricordarlo fa bene.
Lo scorso fine settimana, fra il 7 e il 10 aprile, nel sud di Israele sono “piovuti” da Gaza circa 58 razzi e sono stati fatti esplodere 67 colpi di mortaio. Il 7 aprile in particolare nei pressi di Shaar hanegev un razzo palestinese ha colpito uno scuolabus ferendo gravemente un ragazzo di 16 anni – che oggi è morto – e l’autista che aveva appena scaricato una trentina di ragazzini di ritorno da scuola.
Ora, abbiamo saputo tutti della “rappresaglia”, della “ritorsione” israeliana, dei raid aerei seguiti all’attacco dello scuolabus, non altrettanto della “gragnola” di razzi palestinesi caduta nel sud di Israele.
Sorvoliamo sul perché e limitiamoci qui a qualche osservazione sul carattere dell’informazione riguardante le vicende israelo-palestinesi, a partire proprio dai titoli dei giornali della scorsa settimana.
8 aprile, Repubblica, p. 24: “Da Gaza missile su uno scuolabus. Giornata di guerra con Israele. Feriti un ragazzo e l’autista. Rappresaglia sulla Striscia: 5 morti”; Corriere della Sera, p. 24: “Israele: razzo contro bus. Rappresaglia su Gaza”; Messaggero, p. 19: Ritorsione israeliana a Gaza. Muoiono 5 palestinesi”; La Stampa, p. 17: “Razzo da Gaza su scuolabus. Israele bombarda la Striscia. Grave uno studente. 5 morti nei raid aerei di rappresaglia”; Avvenire, p. 20: “Missili da Gaza contro scuolabus: due feriti. Raid di Israele: 3 morti. Intercettato razzo”.
9 aprile, Avvenire, p. 19: “Non si ferma la rappresaglia: raid di Israele, 9 morti a Gaza”; Il Manifesto, p. 8: “Raid Israeliani su Gaza: 12 morti. La rappresaglia più sanguinosa da ‘Piombo fuso’ “; Repubblica, p. 17: “Nuove bombe israeliane su Gaza: 9 vittime”.
10 aprile, Corriere della Sera, p. 10: “Israele colpisce Gaza. ‘Uccisi cinque miliziani’; L’Unità, p. 27: “Gaza sotto le bombe. Hamas lancia razzi e la ‘terza Intifada’”; Il Riformista, p. 9: “Venti di guerra sulla Striscia di Gaza. Nuova ‘piombo fuso’. I razzi lanciati dai territori palestinesi scatenano la rappresaglia”.
Non serve essere fini analisti per capire dove stia l’inghippo in questi titoli: in primo piano è quasi sempre la notizia della reazione israeliana e dei suoi effetti mentre la causa scatenante assume la forma di un dettaglio di second’ordine. Non solo, è evidente da questi titoli che l’informazione sul missile palestinese contro lo scuolabus non ha avuto dignità di notizia ma è stata utilizzata come premessa, come l’antecedente dei raid israeliani sopra Gaza che hanno fatto prima 5 poi 9 poi 12 poi 18 morti fra i palestinesi. Scavando fra le tante parole degli articoli si trova traccia ogni tanto di come i palestinesi hanno “reagito” alla reazione israeliana – senza però trovare numeri o dettagli sui razzi sparati.
Molto si potrebbe ancora dire su questo, ma procediamo e prestiamo attenzione per un momento alla terminologia: sembra quella tipica delle cronache di una guerra civile dove da un parte c’è un esercito, dotato di aerei e bombe, dall’altra ci sono i “miliziani”, i resistenti coloro cioè che, pur organizzati, per antonomasia hanno a disposizione mezzi meno potenti e numerosi di un esercito. Ma, ci chiediamo, siamo proprio sicuri che al carattere di questi scontri sia adatto un linguaggio da guerra civile? Non sarebbe forse più corretto parlare di “guerra” pura e semplice, quella combattuta fra gli eserciti di due nazioni opposte, in possesso di armi e strumenti diversi e impari, come sempre è accaduto nelle guerre della storia?
Il terrorismo palestinese sta conoscendo una fase di pericolosa escalation: così ha scritto l’ambasciatore della missione permanente israeliana all’Onu, Meron Reuben, al Presidente del Consiglio di Sicurezza, Néstor Osorio. I giornali italiani di questa denuncia non hanno dato notizia. Hanno invece (giustamente) dato amplissimo risalto alla barbara uccisione del pacifista italiano Vittorio Arrigoni, ovvero a una delle tante vittime dell’escalation denunciata dall’ambasciatore Reuben. La precisazione che a commettere l’omicidio sia stato non un gruppo di miliziani (quelli cioè che sparano i razzi su Ashkelon e dintorni) bensì una cellula impazzita di estremisti, non cambia le cose. Gli uni e gli altri infatti non appartengono forse a quell’unico esercito di terroristi composto di tanti gruppi, fazioni, falangi e frange, che combatte contro Israele?
C’è infine la questione della parzialità di chi scrive. Nell’articolo de L’Unità del 10 aprile, la posizione filo-palestinese del giornalista – un non meglio precisato U.D.G. – ha raggiunto un livello che definiremmo ridicolo se non fosse tragico. Si legge infatti: “L’aviazione israeliana è tornata in azione in tandem con l’artiglieria, con nuove ondate di rappresaglie che fanno salire ad almeno 18 il numero dei palestinesi uccisi nelle ultime 48 ore e a oltre 60 i feriti. Mentre dalla Striscia di Gaza i miliziani hanno scagliato altre decine di ordigni contro il sud di Israele, senza riuscire a fare vittime, ma danneggiando un edificio“. Ecco, quel “senza riuscire a fare vittime” provoca un certo sconcerto. Siamo sicuri sia stato frutto di un lapsus, o forse chissà di un utilizzo poco sicuro della lingua italiana. Certo è che qualunque sia la spiegazione, in chi legge rimane l’impressione che alla fine della frase per un fortuito errore sia saltato un “accidenti!”.
Se Israele ha compiuto dei raid aerei su Gaza e ucciso dei palestinesi, è anche vero che i palestinesi, in tre giorni, hanno fatto esplodere più di cento razzi e colpi di mortaio sui civili israeliani e solo per un fortuito caso non ci sono stati morti fra gli israeliani. Ma è forse una colpa questa? la popolazione che vive costantemente nel terrore di essere colpita dai razzi, non è forse vittima di una costante minaccia di morte al pari dei palestinesi su cui volano gli aerei israeliani?
Quel che vorremmo vedere sui giornali italiani non è un’informazione imparziale; non si pretende che chi scrive lo faccia con distacco o su posizioni super partes – chi scrive normalmente ha un cuore che batte, e inevitabilmente batte un po’ più per gli uni e un po’ meno per gli altri, è normale, è umano e lo comprendiamo. Vorremmo però, perlomeno, la completezza delle informazioni e che le vittime di questa guerra, morti, feriti o illesi, palestinesi o israeliani, fossero trattate tutte alla stessa maniera.