di Nathan Greppi
Nel 1992 Vasilij Mitrokhin, un archivista del KGB, portò dei documenti all’Ambasciata Britannica di uno dei paesi, in cambio di asilo politico per sé e la propria famiglia. Prima di allora aveva già provato a offrirli agli americani, che però non si erano fidati di lui. E fecero male: infatti, le migliaia di documenti che Mitrokhin avrebbe portato agli inglesi prima che l’MI6 mettesse a punto un’operazione segreta per trasferire Mitrokhin e la sua famiglia a Londra, contenevano numerose informazioni relative alle identità degli illegali, ovvero le spie sovietiche più importanti infiltratesi nei centri di potere di tutto il mondo.
Mitrokhin, che era stato prima un agente in prima linea e poi un archivista del KGB, aveva iniziato a mettere in dubbio le idee dell’organizzazione per cui lavorava dopo aver trovato documentazioni e testimonianze su come erano stati repressi i dissidenti politici in Unione Sovietica e durante la Primavera di Praga. Fu così che nei primi anni ’60 iniziò a copiare documenti top secret che maneggiava tutti i giorni, e che portò con sé in Inghilterra nascosti in barili del latte. Anni dopo, Mitrokhin scrisse assieme allo storico inglese Christopher Andrew un libro su quei documenti, L’Archivio Mitrokhin. Le attività segrete del KGB in Occidente, pubblicato in Italia dalla Rizzoli nel 1999 e con un’appendice sui rapporti tra i sovietici e il PCI.
Ma nonostante molti segreti fossero ormai stati rivelati, sulle attività delle spie sovietiche in Israele non si era mai saputo molto; fino ad ora. Infatti, pochi mesi fa, sono stati resi pubblici dei nuovi documenti sulla questione, anche se una parte e tuttora top secret. Ma a quelli resi pubblici il sito Ynetnews ha dedicato una serie di articoli che rivelano quanto i sovietici cercassero di infiltrare le loro spie nello Stato Ebraico.
Nell’Ottobre 1970, il direttore del KGB (e futuro segretario del Partito Comunista) Yuri Andropov diede il via a un’operazione sotto copertura per far entrare degli “illegali” in Israele. Gli agenti, quattro uomini e una donna, furono selezionati in base all’abilità nelle lingue e nel combattimento. Prima di allora, i diplomatici all’ambasciata sovietica avevano creato una grossa rete di spie, interrottasi però dopo che nel 1967, in seguito alla Guerra dei Sei Giorni, l’URSS aveva interrotto ogni relazione diplomatica. A tal proposito, l’ex generale e spia del KGB Oleg Kalugin ha rivelato in un’intervista: “All’improvviso eravamo all’oscuro di ciò che stava succedendo in Israele, e ciò ostacolava la nostra capacità di operare in Medio Oriente”.
Gli illegali scelti erano soprannominati Karsky, Patriya, Run e Yoris, mentre il loro capo era chiamato Kravchenko; il suo vero nome era Yuri Fyodorovich Linov, e all’epoca sapeva ben otto lingue. Ognuno di loro aveva documenti falsi e una storia personale creata a tavolino, e una volta entrati in Israele presero contatto con gli agenti reclutati prima del 1967.
Ma Linov non andò lontano: il primo agente che rintracciò, soprannominato Leon, raccontò subito a un amico dell’incontro, ignorando che il suo amico aveva legami con lo Shin Bet, che interrogò subito Leon. Gli fu offerta una riduzione della pena in cambio della sua collaborazione, al che lui accettò. In seguito lo Shin Bet monitorò più volte gli incontri tra Leon e Linov, ma un giorno, per ragioni tuttora ignote, venne dato l’ordine di arrestare Linov, che però aveva fatto in tempo a distruggere i suoi file. Fu condannato a 18 anni di galera, ma fu liberato solo un anno dopo in seguito a uno scambio di prigionieri.
Le altre spie che collaboravano con il KGB non erano solo sovietiche, ma provenivano anche da altri stati del blocco comunista. Tra di loro vi erano agenti dello Shin Bet, ambasciatori, impiegati nelle ambasciate e nei ministeri. Lucjan Levi, ad esempio, fu un membro dello Shin Bet dal 1950 l 1957, anno del suo arresto, ma in realtà lavorava per i servizi segreti polacchi. Inoltre, molte spie reclutate sul posto facevano parte del Maki, il partito comunista israeliano, e del Mapam, un partito socialista. Tra questi vi era Elazar Granot, segretario generale del Mapam e in seguito ambasciatore israeliano in Sudafrica.
Ma le loro spie non erano solo in parlamento o nei servizi segreti: infatti i sovietici avevano un forte interesse per il sistema idrico israeliano, e ciò li spinse a reclutare numerosi ingegneri, tra cui uno Yaakov Vardi, il quale passò informazioni ai sovietici riguardo a delle trattative in corso tra Israele e Giordania sulla gestione delle risorse idriche. Questo nonostante il lavoro che aveva fatto per Israele aveva fatto sì che un ponte sul Fiume Giordano era stato chiamato Vardi, in suo onore.
Una delle spie che erano riuscite ad arrivare più in alto nella gerarchia era conosciuta come Malinka, ed era riuscita ad arrivare ai piani alti dello Shin Bet. Tuttavia erano in molti nello Shin Bet a sospettare che ci fosse una talpa tra loro; uno di questi era Yair Telem, e lavorava nella sezione dell’Est Europa del Servizio di Controspionaggio, e per quattro anni raccolse e analizzò informazioni per dimostrare che uno dei capi del Controspionaggio era una spia sovietica. A favore della sua tesi discusse di quando Linov era stato arrestato, e del fatto che a “qualcuno” avrebbe fatto comodo che la sua sorveglianza venisse così interrotta. Purtroppo, quando presentò ai vertici dell’organizzazione la sua tesi, non fu ascoltato, e gli fu intimato di non continuare a indagare. Colui che Telem sospettava fosse una spia è deceduto pochi anni fa, portando i suoi segreti nella tomba.
Oltre che tra gli israeliani, il KGB aveva reclutato diversi agenti anche tra i diplomatici stranieri nel paese: tra questi vi era Rosario Castellanos, ambasciatrice messicana in Israele e tra i poeti più famosi del suo paese. Avevano reclutato anche molti importanti uomini di fede, tra cui Julian Mersiades Isidore, Arcivescovo di Nazareth.
I sovietici erano riusciti a infiltrare i loro agenti anche nella stampa israeliana, e in particolare un uomo conosciuto come Tammuz, reclutato nel 1965. Quello che però i sovietici non sapevano, era che lo Shin Bet aveva già scoperto Tammuz, e l’aveva convinto a fare il doppio gioco senza che quelli se ne accorgessero.
Dopo il 1967, molte spie sovietiche erano entrate in Israele attraverso l’aliyah: infatti, tra il 1971 e il 1973, furono 100.000 gli ebrei sovietici emigrati in Israele. Tra questi alcuni lavoravano per il KGB: alcuni divennero in seguito doppiogiochisti al servizio dello Shin Bet, altri ad oggi non furono mai scoperti. Tra gli agenti ebrei citati nei documenti di Mitrokhin, molti lavoravano come ingegneri nell’IDF. Un esempio è Jimmy, nome in codice di Samuel Machtai, emigrato in Israele con la sua famiglia nel 1972 per lavorare nell’ingegneria aerospaziale. Dieci anni dopo, tuttavia, i Machtai decisero di fare ritorno in Unione Sovietica. Nel 1990 tornò in Israele, ma stavolta lo Shin Bet lo prese e lo fece confessare. Durante il processo, nel quale fu condannato a sette anni, si disse pentito di ciò che aveva fatto, e che avrebbe voluto continuare a vivere in Israele con la moglie e i figli.
Dopo che Mitrokhin passò i documenti all’MI6, molti degli illegali e delle altre spie sovietiche in Israele vennero arrestate. Prima di allora, uno degli ultimi a essere scoperto dallo Shin Bet fu il Dott. Marcus Klingberg, che lavorava all’Istituto Israeliano per la Ricerca Biologica, dove si producevano i veleni usati dai sicari del Mossad. Egli aveva interrotto i contatti con il KGB nel 1977, per paura di essere scoperto, ma proprio loro informarono lo Shin Bet che lo mise sotto sorveglianza e alla fine lo condannò a 20 anni. Da notare che tra coloro che negoziarono per far liberare Klingberg vi era colui che allora era un giovane agente del KGB ma che oggi è più conosciuto per essere il Presidente della Russia: Vladimir Putin.
Il KGB e i rapporti con i palestinesi
Ma anche mettendo da parte tutti gli sforzi del KGB di infiltrare spie tra la popolazione israeliana, non vanno dimenticati i suoi legami con le principali organizzazioni terroristiche palestinesi, da Fatah al Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP). Essi avevano avuto inizio alla fine degli anni ’60, poco dopo la Guerra dei Sei Giorni. I servizi segreti sovietici avevano dato diversi nomi in codice alle varie organizzazioni e alle loro figure chiave: Fatah era soprannominata Kabinet, il FPLP era Khutor, Yasser Arafat era Aref, e così via. Tuttavia, secondo i documenti di Mitrokhin, all’inzio i sovietici non avevano molta stima di Arafat, e gli preferivano quei leader che promuovevano ideologie di stampo marxista-leninista: il capo del FPLP George Habash e, ancor di più, colui che loro chiamavano Nazionalista, il vice di Habash, Wadi Haddad.
Oggi il suo nome non dice molto, ma per almeno un decennio Haddad è stato uno dei terroristi più ricercati al mondo, e nello stesso periodo è stato in cima alla lista nera del Mossad. Infatti, almeno trent’anni prima dell’Attentato alle Torri Gemelle, Haddad aveva già iniziato a dirottare aerei israeliani con armi fornitegli dai sovietici. Tra i suoi collaboratori più fidati vi era Leila Khaled, divenuta famosa per essere stata la prima donna a prendere parte a un dirottamento. Il KGB fornì loro fucili, mitragliatrici, mine e razzi, il tutto dietro le quinte.
Ma oltre che con il KGB, Haddad aveva legami anche con la Stasi, il servizio di intelligence della Germania Est. Come rivela la loro corrispondenza, gli agenti della Stasi disprezzavano fortemente gli arabi, che chiamavano “fotti-cammelli”, ma ciò non impedì di aiutarli nel compiere attentati e sabotare gli accordi petroliferi tra Israele e l’Iran, che al tempo dello Shah aveva buoni rapporti con lo Stato Ebraico. Queste alleanze ebbero fine il 29 Marzo 1978, quando Haddad morì dopo essere stato avvelenato probabilmente dal Mossad.
Altri leader palestinesi che ebbero molti contatti con il KGB furono Ahmed Jibril, Comandante Generale del FPLP, e il terrorista di Fatah Abu Jihad, che nei primi anni ’70 fu tra i fondatori di Settembre Nero. Inoltre, uno dei più importanti informatori dei sovietici ai vertici dell’OLP era l’agente Krotov, che però i giornali oggi conoscono come Abu Mazen, leader di Fatah. Essi lo avevano reclutato nel 1979, quando era andato a studiare in Unione Sovietica, e la sua collaborazione con il KGB era stata autorizzata dai capi dell’OLP. Il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth a cercato di chiedere ad Abbas ulteriori informazioni al riguardo, senza però ottenere risposte.