di Daniela Ovadia
Quando l’Associazione europea per la promozione della cultura ebraica (AEPJ) ha scelto il tema della Giornata europea 2014, non sono mancate le discussioni: affrontando il ruolo delle donne nell’ebraismo, l’AEPJ ha scelto un tema caldo, che costituisce un elemento di divisione tra le diverse anime dell’ebraismo. D’altronde l’associazione europea raggruppa sotto il proprio ombrello istituzioni ortodosse ma anche conservative e reform, e il ruolo delle donne è uno degli elementi più visibili di distinzione tra i tre diversi approcci all’ebraismo. L’evento (domenica, 14 settembre), verrà quindi declinato a seconda delle caratteristiche locali, ed è probabile che per gli osservatori esterni il ruolo della donna nell’ebraismo appaia quanto di più variegato e multiforme possibile.
L’Italia ha scelto, come slogan per l’iniziativa, la dicitura Donna sapiens: un gioco di parole sul nome scientifico della nostra specie che però riflette una delle molte realtà che caratterizzano la vita delle donne d’Israele, in tutti i tempi e sotto tutte le latitudini: lo studio, la lettura dei testi sacri, anche in luoghi e momenti in cui le altre donne vivevano l’oscurantismo dell’analfabetismo. Donna sapiente, quindi, ma nonostante ciò dedita soprattutto all’accudimento, così come descritta in Eshet Chail, il brano attribuito a Salomone che descrive la donna di valore, baluardo educativo e materiale della propria famiglia prima che attore sociale e comunitario. Eppure anche l’ebraismo, come tutte le grandi religioni monoteiste, è attraversato, in questi ultimi anni, da un vento di rinnovamento che vede le donne come protagoniste principali.
Ortodosse, conservative e…
Il cosiddetto femminismo ebraico si divide storicamente in due filoni. Il primo, rappresentato dalla Women’s International Zionist Organization (WIZO), in Italia ADEI-WIZO, ha un approccio laico ai problemi delle donne ebree e li affronta come fanno altre organizzazioni dedicate all’empowerment femminile, cioè al potenziamento del ruolo delle donne nella società attraverso la rimozione delle barriere culturali, sociali ed economiche. La WIZO, fin dalla sua nascita, ha concentrato i propri sforzi sulla creazione di scuole e corsi di formazione per le donne ebree più svantaggiate, in Israele e nel mondo, e sulle iniziative volte a favorire la loro presenza all’interno delle istituzioni comunitarie ebraiche. L’attività della WIZO è stata essenziale per definire un ruolo nuovo per le donne ebree nel campo del sociale, ma non ha mai, per scelta e impostazione, messo in discussione il loro ruolo nell’ambito più strettamente religioso. Eppure, oggi è questo il settore più in fermento, non solo nel mondo conservative e reform, dove la ridefinizione dei ruoli femminili all’interno della vita religiosa costituisce un elemento fondativo, ma anche in quello ortodosso.
Il movimento culturale che ha scavato nei testi religiosi ebraici alla ricerca di fonti per ridefinire il ruolo delle donne in questo contesto è nato in realtà negli Stati Uniti negli anni Settanta. È in quel periodo che il movimento femminista americano dà origine alla disciplina dei gender studies (studi di genere), per analizzare le radici culturali e normative delle diseguaglianze tra i sessi. Le donne provenienti dal mondo reform e conservative, all’epoca non così egualitario come è oggi, risultavano però più avvantaggiate: per sua natura, il riformismo ebraico consente di ridiscutere, seppure entro limiti variabili, le norme della Halachà alla luce delle esigenze del mondo moderno. Per loro, si trattava solamente di trovare gli spazi per portare avanti le proprie istanze, identificate, in ambito religioso, in tre grandi aree: l’esclusione delle donne dal minian e dalle preghiere collettive, l’esenzione dalle mitzvot legate al tempo (che in molti casi si traduce, con l’uso, in un divieto a praticarle nello stesso modo degli uomini) e l’impossibilità di fungere da testimoni in alcuni processi presso i tribunali religiosi e di iniziare autonomamente una procedura di divorzio.
Nel 1970 Judith Plaskow, considerata una delle fondatrici del femminismo religioso ebraico, pubblica alcuni articoli su riviste di settore che costituiscono l’inizio di una lunga riflessione sul tema che porta l’ebraismo riformato, e poi quello conservative, ad accettare le donne nel minian, a includerle nell’obbligo delle mitzvot a tempo e a stabilire l’obbligatorietà di accordi prematrimoniali che rendano automatico lo scioglimento del matrimonio ebraico se la coppia consegue il divorzio civile. Anche le donne ortodosse, però, desiderano oggi una maggiore partecipazione alla vita religiosa, anche se devono affrontare un problema diverso: come rispondere a queste istanze, che non sono di tutte ma certamente di una parte del loro mondo, senza andare contro le norme della Halachà e senza rischiare di abbandonare l’ortodossia. Sebbene anche nell’ebraismo ortodosso le prime avvisaglie di un movimento di rinnovamento femminile si manifestino fin dagli anni Settanta, è solo negli ultimi 15 anni che il fenomeno è diventato numericamente importante, soprattutto negli Stati Uniti e in Israele. Una questione esplosiva, specie in Israele.
Quando Rachel Fraenkel, la mamma di Naftali z.l., uno dei tre ragazzi rapiti e uccisi in Cisgiordania, ha recitato il kaddish per lo sfortunato figlio davanti alle massime autorità religiose israeliane, molti ebrei italiani sono rimasti stupiti, soprattutto per il fatto che il Rabbino Capo d’Israele ha implicitamente accettato il gesto dicendo amen al termine della lettura. Eppure, la discussione su che cosa è lecito che una donna ortodossa pronunci in pubblico e in quali occasioni, non è affatto nuova. Nel caso specifico, nel 2013, una organizzazione rabbinica, Bet Hillel, che fa capo alla corrente modern orthodox ha prodotto un parere secondo il quale le donne sono autorizzate a recitare il kaddish per genitori e figli. La signora Fraenkel fa parte di questa corrente dell’ebraismo e insegna in una yeshivà per donne basata sui principi egualitari, cioè sull’idea che tutto ciò che si può fare per estendere alle donne il diritto di condurre o partecipare a riti religiosi debba essere fatto, sempre senza andare contro la Halachà.
Non tutto il mondo ortodosso accetta alcune delle “innovazioni” introdotte dall’ebraismo egualitario, anche se chi appartiene a questi gruppi sostiene di agire all’interno del recinto della Halachà. Prendiamo l’esempio più eclatante, quello del minian: anche se molte donne ortodosse soffrono nel vedersi escluse dal computo dei presenti nelle preghiere collettive, non è possibile cambiare la norma che prevede che il minian sia formato solo da uomini. È possibile, però, secondo la corrente modern orthodox, “affiancare” al minian maschile un minian femminile e stabilire, come regolamento interno alla sinagoga, visto che non può essere una norma religiosa, che la preghiera inizi solo quando ci sono presenti in sala dieci uomini e dieci donne. Oggi esistono nel mondo circa 40 sinagoghe che funzionano sulla base di questo principio (la principale delle quali ha sede a Gerusalemme e va sotto il nome di Shirà Hadashà), che è molto impegnativo per la parte femminile della comunità, perché responsabilizza anche le donne nei confronti della preghiera collettiva.
Lo sforzo delle donne religiose, però, è a tutto campo: promuovere l’educazione religiosa ebraica anche tra le ragazze, elevando il livello dei loro studi alla pari con quello dei ragazzi; lavorare sulla creazione di rituali adatti a celebrare i momenti importanti della vita della donna, in primo luogo la nascita e il bat mitzvà, in modo da non sminuirli se confrontati con i corrispettivi maschili; aprire alle donne istruite in materie ebraiche le porte delle sinagoghe dando loro un ruolo di consulente religioso che non è mai parificato a quello rabbinico, ma che è più ampio di quello tradizionalmente attribuito alla moglie del rabbino.
Qualsiasi cosa si pensi del movimento egualitario religioso, le intenzioni sono quelle di riavvicinare le donne a una pratica religiosa che tenga conto anche dei cambiamenti sociali: un obiettivo che può facilmente entrare in contrasto con una visione più tradizionalista dell’ebraismo.