di Rossella De Pas
Chi è un Giusto tra le nazioni? Come lo si stabilisce? Che cos’è il Tribunale del Bene? Risponde lo storico e saggista Gabriele Nissim, presidente e fondatore del Comitato per la Foresta dei Giusti in Italia, a 10 anni dalla nascita.
“L’idea di fondare il Comitato per la Foresta dei Giusti in Italia è nata 10 anni fa, all’epoca in cui uscì il mio libro su Dimitar Pesev (ndr, L’uomo che fermò Hitler. La storia di Dimitar Pesev che salvò gli ebrei di una nazione intera). Fu in quell’occasione che ebbi modo di conoscere il medico armeno Kuciukian, il quale stava facendo un lavoro per ricordare i Giusti che salvarono gli armeni durante il genocidio del 1915-16. Così organizzammo un convegno all’Università di Padova e cominciammo a ragionare sulle diverse ‘tipologie’ di Giusto: per ogni genocidio o crimine contro l’umanità, infatti, si possono individuare degli elementi comuni, ma poi subentrano le specificità”. Queste le parole di Gabriele Nissim, storico e presidente del Comitato Foresta dei Giusti, oggi in libreria con un nuovo saggio, La bontà insensata, Mondadori. Ma qual è l’idea che sta alla base della creazione del Comitato? “Quella di rendere universale la categoria di Giusto”, risponde Nissim.
Per la Shoah, parliamo di Giusto per indicare il non-ebreo che ha salvato l’ebreo, pur a rischio della propria vita. In altri casi?
Nel caso armeno Giusto è non solo colui che ha portato aiuto, che ha salvato delle vite umane, ma anche chi si impegna a preservare il ricordo di quel genocidio contro chi lo nega. Non si può dimenticare infatti che la Turchia ha da sempre rifiutato di parlare di genocidio e ancora oggi le sue posizioni sull’argomento sono controverse (nel 2006 lo scrittore Ohran Pamuk fu denunciato dal governo turco per aver accennato al genocidio degli armeni durante un’intervista rilasciata ad un giornale svizzero, ndr)
In Bosnia , dopo la guerra recente, ci sono stati Giusti fra i serbi, fra i croati, tra i musulmani…
In questo caso è Giusto colui che si è impegnato -e lo è ancora- nell’opera di conciliazione dei popoli. Proprio in seguito all’esperienza bosniaca, sono stato chiamato per lavorare sui Giusti del Ruanda, dopo il genocidio della popolazione di etnia tutsi durante la guerra civile del 1994. In Ruanda ci troviamo di fronte ad una situazione per alcuni aspetti simile a quella dei Giusti che salvarono gli ebrei: chi prestava aiuto, metteva a rischio la propria vita. Il caso ruandese tuttavia è molto complesso anche sul piano della definizione di Giusto: è accaduto molto spesso che chi salvò delle vite, poi ne uccise a sua volta delle altre.
Per quanto mi riguarda, ho cercato di capire come era nata l’esperienza di Yad Vashem, e quale fu il ruolo di Moshe Bejsky, il magistrato israeliano la cui attività fu decisiva non solo nelle attività del Comitato dei Giusti in Israele ma anche nella definizione dell’attuale concetto di “Giusto”. Da quella mia ricerca ho tratto anche un libro, (ndr, Il tribunale del bene. La storia di Moshe Bejski, l’uomo che creò il Giardino dei Giusti), che è stato poi pubblicato in Israele, in Spagna, in Brasile, in Bosnia, e che ricostruisce il percorso e i principi che sono alla base della fondazione del Giardino dei Giusti in Israele: i dibattiti interni, le problematiche; il partito più “dogmatico” ed il partito più “elastico”. Questo per dire come all’inizio le cose non furono semplici nemmeno in Israele. I primi due direttori del Comitato israeliano, Moshe Landau e Moshe Bejski, avevano idee diverse per esempio su Oskar Schindler. Alla fine ha prevalso l’approccio di Bejsky, ovvero una visione più ampia -e anche più complessa- di “Giusto”, inteso non tanto come colui che compie un atto di eroismo, ma come colui che, per quanto è nelle proprie possibilità oggettive, agisce per il bene altrui.
In molti casi, si è visto infatti, che anche gesti non particolarmente rischiosi, servirono a salvare delle vite – fra l’altro, proprio in Italia la maggior parte dei Giusti non ha messo a rischio la propria incolumità. Se si fosse applicata una formula rigida di Landau, avremmo avuto ben pochi italiani riconosciuti come Giusti – il che sarebbe stato sbagliatissimo.
Quindi, tendenzialmente voi seguite la linea di Moshe Bejski?
Sì. Sono contrario a creare la santificazione dei Giusti. Di fatto è nel mondo cattolico che si tende a vedere i Giusti come santi: uno rinuncia alla propria vita, rinuncia a se stesso per aiutare gli altri. In realtà il criterio che adottiamo per il riconoscimento di un Giusto si basa sulla considerazione che quella persona ha prestato aiuto a qualcuno perché poteva farlo e sentiva di doverlo fare! Questo è stato il secondo passo del mio percorso.
Il terzo è sintetizzato nel mio ultimo libro, La bontà insensata. Il segreto degli uomini giusti. Qui ho cercato di ricostruire l’idea di Bene e dei suoi “pensatori”: ci sono state persone, intellettuali, filosofi, che hanno dato a questa idea una grande rilevanza nella letteratura, nella filosofia, nella memoria. Vasilij Grossman per esempio affronta questo tema nelle sue opere: nel nome del Bene universale, dice, sono state commesse le azioni più atroci; ciò che ha salvato e salva l’uomo è la bontà “insensata”. Con Vita e destino Grossman è stato uno dei primi a denunciare le atrocità dei sistemi totalitari, a mostrare le somiglianze tra totalitarismo nazista e totalitarismo comunista: in entrambi i casi, furono commessi i crimini peggiori, ma con l’idea che ciò servisse ad un bene superiore, valido per il Bene dell’Umanità.
Nazisti, comunisti, turchi, fondamentalisti islamici, sono tutti accomunati e animati dalla convinzione di agire per il Bene del genere umano e per questo si sentono giustificati a commettere i delitti più spaventosi. Ciò che salva l’uomo, per fortuna, è la bontà insensata, quella che non nasce dalle ideologie ma semplicemente dalla compassione, dall’aiuto verso il prossimo, ovvero dalla sua “umanità”. Un’altra figura centrale nella riflessione su Bene e Male, è Hannah Arendt: davvero, dice lei, la morale sembra poter cambiare come cambiano le mode, secondo le stagioni, i gusti del momento? E se anche così fosse, ciò che rimane invariato nell’uomo, dice Arendt, è la sua capacità di discernere il Bene dal Male; la capacità di pensare con la propria testa, di giudicare, di interrogare la propria coscienza. Ecco, i Giusti, se si vuole, sono coloro che hanno pensato da soli, che si sono interrogati, che hanno agito secondo la propria coscienza, non secondo le idee imposte da altri. Hans Jonas, un altro filosofo di cui parlo nel mio libro, sostiene che gli unici miracoli sono quelli compiuti dagli uomini: ad Auschwitz l’idea di Dio è stata salvata dai Giusti. Ad Auschwitz abbiamo assistito a Dio che si ritira dal mondo; chi ha fatto sì che Dio continuasse a vivere sono stato i Giusti.
Il ricordo dei Giusti si deve trasmettere di generazione in generazione, al pari del ricordo delle vittime?
Sì. I Giusti non hanno cambiato la Storia, ma hanno agito nello spazio loro concesso, quello della loro sovranità, della loro coscienza, senza pensare a quel che avrebbero potuto ottenere da quell’azione.
Il messaggio è che l’uomo può sempre intervenire nelle cose, anche con una piccola azione….
Già. La memoria dei Giusti è qualcosa che deve proiettarsi sul tempo, non rimanere ancorata al passato bensì creare una sorta di staffetta morale.
In Ruanda, il console italiano Costa, che adesso è candidato al premio Nobel per la Pace, ha seguito l’esempio di Perlasca: durante la guerra caricava sulla sua macchina ragazzini di etnia tutsi e li portava alla frontiera. In questo modo è riuscito a salvare almeno un centinaio di vite.
Sono 10 anni che il Comitato Giardino dei Giusti è attivo. Quali sono le prospettive future?
Va notata l’attenzione crescente che oggi si presta al discorso sui Giusti: prima non ne parlava nessuno, ora invece è uno dei temi di cui si discute durante il Giorno della Memoria, in particolare tra i giovani. Molti comuni in Italia sono interessati a scoprire e ricordare i “propri” Giusti e a commemorarli attraverso la creazione di Giardini. Sto lavorando a una Giornata Europea per i Giusti: con Marek Halter in Francia stiamo lanciando una campagna. Scriveremo un documento che sottoporremo al Parlamento Europeo a Strasburgo.
E poi penso ci sia la possibilità di coinvolgere anche gli educatori nelle scuole con un programma di educazione alla solidarietà.
In fondo, io ho fatto così: partendo dalle storie dei Giusti ho risposto a domande di filosofia ed etica; non basta raccontare la storia di Perlasca, bisogna inquadrarlo, bisogna ragionarci su.
A Milano, quali le reazioni al Giardino dei Giusti?
Abbiamo dovuto imporci per evitare che il messaggio del Giardino non venisse politicizzato. Io ho voluto che il Giardino fosse un’istituzione apolitica, un patrimonio di tutti i milanesi, indipendentemente dalle idee politiche degli uni o degli altri.
(Il giardino è stato creato dal “Comitato Foresta dei Giusti-Gariwo”, dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e dal Comune di Milano).
Nel giardino di Milano abbiamo già consegnato l’onorificenza di Giusto a figure la cui opera di soccorso è stata riconosciuta a livello internazionale. È possibile consultarne l’elenco sul nostro sito (www.gariwo.net). Certo, a Milano non è possibile fare un Giardino dedicato a 20.000 Giusti come a Yad Vashem: ma la cosa importante è ricordare figure la cui azione sia riconosciuta come significativa e “costruttiva”; è far passare il messaggio insito nella creazione stessa di un Giardino dei Giusti.