Ebrei progressisti e sinistra radicale globale: una spaccatura nel contesto del conflitto in Medio Oriente

Mondo

di Marina Gersony

Nel contesto recente del conflitto in Medio Oriente, gli ultimi sondaggi rivelano una crescente divisione all’interno della sinistra globale. Questa divisione si sta amplificando tra le fazioni democratiche, liberali e socialiste da un lato e la sinistra radicale, terzomondista e anti-occidentale dall’altro, con impatti evidenti nei partiti e tra gli intellettuali di sinistra, spesso in nome di una pace generica. Questa spaccatura crea una situazione divisiva e complessa, coinvolgendo anche la comunità ebraica e mettendo a dura prova coloro che cercano di sostenere Israele pur restando fedeli alla propria ideologia di sinistra.

 

Dopo l’attacco terroristico del 7 ottobre, molti ebrei progressisti si sono infatti sentiti abbandonati da quegli amici della sinistra globale che hanno espresso poca simpatia, empatia e solidarietà per gli israeliani e i loro correligionari uccisi, concentrandosi invece sulla difficile situazione dei palestinesi: un dolore che si somma a quello dell’ignobile massacro perpetrato da Hamas.

 

Questa divisione rappresenta una frattura significativa e lacerante all’interno della coalizione liberale americana, tradizionalmente legata al Partito Democratico che rischia di alimentare tifoserie e polarizzazioni. Gli ebrei progressisti, che hanno sostenuto a lungo cause di sinistra come l’equità razziale, i diritti LGBTQ+, il diritto all’aborto e l’opposizione alle politiche israeliane a Gaza e in Cisgiordania, si sentono ora traditi dai loro stessi alleati.

 

Le tensioni in America tra gli ebrei, Università e social media

La tensione all’interno della comunità ebraica americana si è accentuata soprattutto nei campus universitari e sui social media, dove le dichiarazioni di organizzazioni minori hanno ottenuto ampia visibilità. Secondo diversi analisti, c’è preoccupazione che questa frattura possa rappresentare un cambiamento più duraturo e insidioso nella posizione degli ebrei nella società americana, soprattutto in un momento di conflitto globale. Nel frattempo, il dibattito sul mantra «con Israele o con la Palestina» continua a infiammarsi o ad essere affrontato con toni moderati, a seconda dei casi.

 

Ha fatto molto parlare in questi giorni la lettera aperta firmata di recente da eminenti personalità della cultura, tra cui David Grossman, nonché l’attacco polemico su X (ex Twitter) dell’ex premier israeliano Yair Lapid alla «sinistra radicale globale», colpevole, a suo avviso, di mancanza di solidarietà ed empatia: «Quanti ebrei devono morire prima che smettiate di incolparci per qualunque cosa accada? Quel sabato buio ne sono stati uccisi 1.400. Di quanti altri avete bisogno? Diecimila? 6 milioni?». Nel suo blog di qualche giorno fa sul Times of Israel, l’attuale leader dell’opposizione israeliana, che non ha voluto entrare nel governo di emergenza nazionale dopo il 7 ottobre, va dritto al punto ponendo alcuni quesiti, a partire dal paradosso della comunità Lgbtq che, nelle manifestazioni organizzate in numerose città europee e americane, sostiene «l’autodeterminazione» della Palestina senza rendersi conto di appoggiare chi vorrebbe la sua eliminazione.

 

 

La lettera aperta degli intellettuali israeliani

 

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«Noi, accademici con sede in Israele, leader di pensiero e attivisti progressisti impegnati per la pace, l’uguaglianza, la giustizia, e dei diritti umani, siamo profondamente addolorati e scioccati dai recenti eventi verificatisi nella nostra regione. Siamo anche profondamente preoccupati per la risposta inadeguata di alcuni progressisti americani ed europei riguardo all’attacco ai civili israeliani da parte di Hamas, una risposta che riflette una tendenza preoccupante nella cultura politica della sinistra globale».

 

A scendere in campo anche lo storico israeliano Yuval Noah Harari – autore di bestseller tra cui Sapiens e Homo Deus – anche lui firmatario della suddetta lettera aperta in cui esprime la sua preoccupazione per alcuni elementi all’interno della sinistra globale; una sinistra che in passato considerava un alleato politico ma che adesso ha giustificato le azioni di Hamas in più occasioni. In una recente intervista al Guardian, Harari ha spiegato di aver preso questa posizione dopo aver parlato con attivisti pacifisti nel suo paese d’origine, che si sentivano completamente devastati e abbandonati, traditi dai loro alleati presumibili nei loro sforzi per la pace. Lo scrittore ha inoltre ricordato come i suoi zii sono riusciti a sopravvivere a un attacco di Hamas nel loro kibbutz durante gli attacchi del 7 ottobre, nascondendosi mentre uomini armati andavano da una casa all’altra uccidendo i loro vicini. Infine, durante una visita a Londra, Harari è rimasto sconvolto nel sentire alcune risposte provenienti da alcune fazioni della sinistra negli Stati Uniti e in Europa, che non solo hanno evitato di condannare Hamas ma hanno anche attribuito l’intera responsabilità ad Israele, mostrando una mancanza di solidarietà verso i terribili attacchi contro i civili israeliani.

Sono le risposte di una sinistra radicale condivisa anche da attivisti e studiosi ebrei che vedono Israele come un oppressore dei palestinesi. Una prospettiva manifestata da alcuni di loro in un sit-in a sostegno del cessate il fuoco, tra cui quello organizzato dal gruppo disinistra Jewish Voice for Peace, che ha denunciato anche le violazioni dei diritti umani subite dai palestinesi nel corso degli anni.

VIDEO: New York City, la polizia arresta i manifestanti di Jewish Voice for Peace che chiedono il cessate il fuoco a Gaza

 

La sinistra europea si perde tra distinguo e divisioni interne

Il tema delle risposte politiche al conflitto tra Israele e Hamas e delle divisioni all’interno dei partiti in vari Paesi europei riguardo alla loro posizione sul conflitto è di fatto sempre più presente nei media. Il focus principale è sulla difficoltà di alcune fazioni politiche e leader di sinistra nel mantenere una risposta unificata alla situazione, il che porta a tensioni interne e disaccordi sull’argomento.

 

Nel Regno Unito, il Partito Laburista affronta sfide nel gestire il conflitto, con il suo leader, Keir Starmer, che deve bilanciare le crescenti critiche provenienti dalla sinistra e dai politici e sostenitori musulmani del partito. In particolare, alcune delle sue dichiarazioni e il mancato sostegno a un cessate il fuoco hanno provocato divisioni all’interno del partito: la posizione ufficiale del Labour viene infatti vista da molti esponenti del partito come troppo allineata a quella del governo conservatore.

 

Lacerata anche la sinistra in Francia, dopo al rifiuto di France insoumise (Lfi), il principale gruppo politico di sinistra, di qualificare Hamas come gruppo terroristico, dopo l’attacco lanciato il 7 ottobre contro Israele. Il suo leader Jean-Luc Mélenchon ha infatti adottato una posizione di condanna dei «crimini di guerra» e descritto Hamas come un «gruppo politico islamico» che «resiste a un’occupazione» per la «liberazione della Palestina», dichiarazioni che hanno profondamente diviso la coalizione Nupes mettendo a rischio la coalizione delle sinistre (socialista, comunista, ecologista).

 

In Spagna, il governo ha condannato l’attacco di Hamas, ma alcuni ministri ad interim di partiti di estrema sinistra hanno suggerito che Israele stia infrangendo il diritto internazionale. Ciò ha portato a tensioni con l’ambasciata israeliana a Madrid e ha messo in discussione l’unità all’interno del governo spagnolo.

 

In Germania, c’è un ampio consenso politico a favore di Israele, con il cancelliere Olaf Scholz che ha sottolineato il supporto della Germania alla sicurezza di Israele. Questo posiziona la Germania in modo diverso rispetto ad altri Paesi europei.

 

E l’Italia? Con Israele o con la Palestina? La posizione della sinistra riguardo a Israele e alla Palestina nel nostro Paese è storicamente contraddittoria e profondamente complessa. In particolare, alcune correnti della sinistra italiana cercano di sostenere Israele ma evitano di condannare esplicitamente Hamas, in sintonia con quella che è stata definita  la «sinistra radicale globale», il più delle volte carente di solidarietà ed empatia verso Israele e il popolo ebraico. Una prospettiva che contrasta con quella di chi all’interno della sinistra cerca di sostenere Israele «senza se e senza ma», mantenendo tuttavia salda l’ideologia di sinistra.

 

Per concludere, in Europa – e in Occidente in generale – il versante politico di sinistra sta attraversando una fase di profonda instabilità strutturale, come evidenziato da numerosi esperti politici. Questa crisi non può essere ricondotta esclusivamente al contesto drammatico segnato dal caos dell’attuale conflitto in Medio Oriente, ma rappresenta una sfida fondamentale per la ridefinizione del concetto stesso di “sinistra” e dei suoi ruoli in questo secolo e all’interno dei sistemi democratici. Ma questa è un’altra storia.

 

 

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