di Ilaria Myr
Pubblicità postate accanto a contenuti antisemiti e veicolatori di odio: è questa l’accusa che si è abbattuta nell’ultima settimana su Youtube, dopo che un’inchiesta del Times aveva sollevato la questione. Fra i vari contenuti, un video raffigurante degli ebrei che venivano ritratti come assassini di bambini cristiani, la cui carne era utilizzata da McDonald’s per fare gli hamburger a Pasqua.
Non si tratta però solo di una questione di immagine del marchio, che viene danneggiata dall’accostamento a contenuti scorretti e controversi: in realtà il vero problema sta nel fatto che con questi messaggi pubblicitari gli inserzionisti vanno a finanziare indirettamente chi ha postato il video (6 sterline per ogni 100 click, all’incirca).
A monte vi è il funzionamento della comunicazione digitale basato sulle piattaforme tecnologiche di Ad Exchange, che posizionano gli annunci sul web attraverso una varietà di algoritmi: un processo, questo, in cui l’intervento umano è molto ridotto.
La vicenda sta avendo conseguenze importanti sugli investimenti pubblicitari della piattaforma video appartenente a Google: molti infatti sono gli inserzionisti che hanno deciso di togliere i propri budget dalle piattaforma finché la situazione non verrà stabilizzata.
Fra questi il governo britannico, che tramite un portavoce ha fatto sapere: “Abbiamo imposto una restrizione temporanea alla nostra pubblicità su YouTube in attesa di assicurazioni da parte di Google che i messaggi del governo possano essere presentati in maniera sicura e appropriata”.
Dal canto suo Google, a cui fa capo Youtube, ha ribadito la totale contrarietà: “È del tutto inaccettabile che pubblicità pagata dai contribuenti appaia accanto a contenuti inappropriati”.
A prendere simili provvedimenti, oltre all’esecutivo di Theresa May, ci sono anche colossi come la Bbc, Audi, L’Oreal e soprattutto la Havas, uno dei più grandi gruppi di comunicazione al mondo che, con clienti del calibro di Hyundai, Edf e Royal Mail, spende ogni anno circa 175 milioni di sterline in comunicazione digitale solo nel Regno Unito. In forse anche il congelamento globale degli investimenti su YouTube e Google.
Come riporta il Financial Times, Havas ha dichiarato di avere tolto le proprie pubblicità perché Google “non è stato capace di fornire rassicurazioni specifiche… che i loro video o contenuti display siano classificati come accettabili in fretta e con filtri accettabili”.
In risposta alle polemiche, Google ha garantito che cambierà le proprie tecnologie e policy per dare maggiore controllo agli inserzionisti pubblicitari delle sue piattaforme. Durante una conferenza a Londra, il capo europeo di Google Matt Brittin ha dichiarato: “Voglio chiedere scusa ai nostri partner e inserzionisti che possono essere stati danneggiati dal fatto che le loro pubblicità siano apparse accanto a contenuti controversi. Ci assumiamo le nostre responabilità”.
A oggi Google segnala quelli che sono i contenuti dubbi, con una media di 200.000 segnalazioni al giorno. Di queste, il 98% viene rivisto in 24 ore. “Con milioni di siti nel nostro network e 400 ore di video caricate su Youtube ogni minuto, ammettiamo che non ci azzecchiamo sempre – ha dichiarato al Financial Times Ronan Harris, managing director Google UK -. In una piccola percentuale dei casi, appaiono pubblicità con contenuti che violano le nostre policy di monetizzazione. In questi casi, le rimuoviamo prontamente, ma possiamo e dobbiamo fare di più”.
Anche Group M (gruppo WPP) ha espresso qualche perplessità, dichiarando di aspettare le reazioni dei clienti per decidere il da farsi. Ma Rob Norman, chief digital officer di Group M, ha definite la reazione di Google “non appropriata”. Lo stesso Sir Martin Sorrell, grande capo del Gruppo WPP, ha dichiarato: “Abbiamo sempre detto che Google, Facebook e altre sono delle media company che hanno le stesse responsabilità di tutte le altre. Non possono fingere di essere solo aziende tecnologiche, soprattutto nel momento in cui si occupano di pubblicità”.
La questione però va al di là dell’azienda specifica Google: se ormai tutta la comunicazione digitale è gestita da algoritmi, e l’intervento dell’uomo – che potrebbe scegliere razionalmente quali pubblicità mettere vicino a quali video – è sempre più ridotto, non diventerà questo un problema per tutta la industry della comunicazione?