Essere ebrei in Francia oggi: un percettibile disagio

Mondo

di Raffaele Picciotto

La Sinagoga di Nizza
La Sinagoga di Nizza

Venerdì scorso si è tenuto in Francia il tanto reclamizzato incontro, voluto dal governo francese per dare impulso ad un moribondo processo di pace tra Israele e l’Autorità Nazionale Palestinese. ­­

Tuttavia i problemi che realmente interessavano i francesi erano altri; ne ho avuta una precisa sensazione arrivando a Nizza per trascorrere qualche giorno di riposo. All’aeroporto ho subito avuto l’impatto con un paese in preda ad un ondata di scioperi di protesta, contro un’impopolare legge del lavoro e per alcune rivendicazioni salariali.

Negli stessi giorni, un ondata di maltempo colpiva le regioni settentrionali, ivi compresa Parigi, con conseguente straripamento di fiumi e parti del paese alluvionate.

Ma la sorpresa maggiore l’ho avuta camminando per le vie della città che, vale la pena ricordare, è la quinta città di Francia (dopo Parigi, Marsiglia, Lione e Bordeaux), con una popolazione ebraica di circa 30.000 persone.

Come d’abitudine, all’inizio mi sono recato a fare la spesa in un negozio di alimentari casher; all’apparenza era tutto normale, un certo numero di clienti si aggirava tra gli scaffali scegliendo la merce da acquistare e poi andava alla cassa. Ma c’era qualcosa di strano che mi sfuggiva.

Andai in seguito con mia moglie a mangiare in un ristorantino; mi fece osservare che nel menu appeso c’era anche lo shwarma, denominazione tipica della cucina israeliana; nel ristorante vicino gestito da musulmani lo stesso piatto era chiamato kebab. Sembrava facile riconoscere un ristorante casher. A questo punto mi accorsi che l’insegna non menzionava affatto che il negozio fosse casher; non vi erano i Maghen David come si vedevano di solito in questo genere di esercizi.

Pochi esercizi più in là, sullo stesso marciapiede, le insegne di un nuovo negozio di alimentari scintillavano; per curiosità mi affacciai per scoprire cosa vendessero e con grande stupore vidi alcune confezioni a me familiari. Erano confezioni di cibi venduti normalmente in Israele, con scritte in ebraico. Stupito guardai ancora meglio: erano tutte confezioni di cibi casher. Uscendo dal negozio cercai invano un insegna che indicasse che era un negozio casher: nessuna traccia. Più tardi una persona mi raccontava che il gestore spesso stava fuori dal negozio, forse per prudenza.

A questo punto passeggiando mi resi conto che tutti i negozi e i ristoranti casher non erano facilmente riconoscibili, se non ad un occhio attento. Le insegne che ero abituato a vedere erano sparite, sostituite da indicazioni comuni: restaurant, boulangerie, alimentaires e così via. Gli acquisti venivano confezionati in sacchetti rigorosamente anonimi.

Sabato mi recai alla sinagoga centrale, sorvegliata da militari armati oltre che dal servizio di sicurezza interno. Venni a sapere che nel febbraio 2015, qui nei pressi, tre soldati in servizio anti terrorismo erano stati attaccati con un coltello da un certo Moussa Koulibaly, casualmente con lo stesso cognome dell’autore della strage all’ Hyper Cachere a Parigi. Inoltre lo scorso marzo un disoccupato di 33 anni aveva minacciato di fare saltare in aria un Centro per l’Impiego prendendosela con gli Ebrei.

Sulla via del ritorno pensai di aver percepito un sottile ma sostanziale cambiamento di clima in Francia, dalla quale sempre più ebrei prendono la decisione di emigrare in Israele. È qualcosa visibile solo ad occhi attenti, non fa notizia nei giornali come una conferenza internazionale, scioperi o maltempo, ma è forse più significativo.
L’ebreo ora ha paura di esporsi e questo è certamente un brutto segno per l’ebraismo francese ma ancor più per un grande paese europeo considerato come culla della libertà e dell’accoglienza.