di Fausto Fantini
Occupazione: ecco il vademecum di un esperto di outplacement
Nella sua saggezza secolare la Serenissima già nel lontano 1612 ammaestrava i propri concittadini circa le “Fabbisogna per intraprender liti”. Così recitava la grida in colto veneziano: “Casse da banchiere. Gamba da cerviere. Pazienza da romita. Aver rason. Saperla espor. Trovar chi l’intende e chi la voglia dar. E debitor che possa pagar!”
M’è sovvenuta questa massima, e mi piace rivisitarla, pensando all’atteggiamento di coloro che necessitando (per volontà propria o – di questi tempi – sempre più spesso altrui) di riproporsi sul mercato del lavoro, che ha bandito dall’orizzonte il futuro di una volta, dimenticano che anche per fare il lavoro di cercare il lavoro, occorre rifarsi a certi “fabbisogna”, certi presupposti necessari, per conseguire con successo il risultato sperato.
Le risorse economiche sono importanti. Non necessitano certo “Casse da banchiere”, ma occorre sicuramente la copertura economica per qualche mese (trattamento di mobilità e/o di cassa integrazione, indennità di buona uscita, liquidazione…) per svolgere l’attività in questione senza l’assillo di dover fare in fretta, che oltre ad essere stressante è spesso cattivo consigliere nel delicato processo che ci attende, che potrebbe viceversa dischiuderci soluzioni insperate: Accidit in puncto quod non speratur in anno.
Il “cerviere” ci ricorda il lupo che deve correre all’inseguimento del cervo, sua preda designata. Il che richiede un ruolo attivo, quasi aggressivo, determinato. L’atteggiamento attendista tipico di quelli, e sono la maggior parte, che pensano che la soluzione del loro problema cada dall’alto ad iniziativa non si sa bene di chi, è foriera di cocenti delusioni. Ho mandato mille curricula, sento lamentare spesso, e non è successo nulla. E perché sarebbe dovuto succedere qualcosa, se prima non ci si è dotati appunto delle “fabbisogna” di cui stiamo discorrendo?
“Pazienza da romita”: è la virtù dei forti, di coloro che sanno gestire l’ansia e le avversità. Oggi si parla molto di “resilienza”: di come affrontare cioè le situazioni difficili confidando sulle proprie qualità ma anche sul network, di qualsivoglia forma sia, dalla parentale, alla professionale, all’etnica. Autori recenti hanno parlato di giovani d’oggi come di generazione Tuareg che vagando insieme nel deserto devono trovare nuovi stimoli associativi e solidarietà nuove, come i nostri padri hanno saputo fare nel passato in momenti certo non meno sfortunati.
Ma il cuore di tutto il nostro ragionamento è “l’aver rason”. Vuol dire prendere coscienza del proprio valore, testimoniato non già dalla banalità dei titoli o dei ruoli ricoperti, ma dalla nostra capacità di risolvere problemi, soddisfare bisogni, erogare servizi: perché di questo è fatto il lavoro, non di posti e mansionari. Siamo tutti artigiani e manager, nel senso di essere capaci di fare cose, assumerci responsabilità e raggiungere obiettivi innovando. Occorre andare a scoprire perché valiamo, di quali conoscenze e abilities siamo portatori, perché in un’ipotetica (che poi tanto ipotetica non è) competizione si sappia rispondere alla domanda perché scegliere noi. Quali sono dunque le nostre “buone rason”?
“Saperla espor”. In quel business meeting che è il colloquio di selezione, noi non veniamo giudicati per quello che sappiamo fare, bensì per “quello che sappiamo raccontare di quello che sappiamo fare”. Il focus della comunicazione non può essere quel necrologio che è il curriculum vitae (ho studiato, ho fatto, sono stato, sono diventato…) ma il racconto vivo delle nostre realizzazioni, delle nostre esperienze, dei nostri comportamenti in situazioni critiche, dei valori aggiunti. Suggerisce William Bridges, guru della consulenza di carriera: dei nostri assets, ossia dei nostri vantaggi competitivi. E per farli emergere occorre l’analisi di cui al punto precedente.
“Trovar chi l’intende”. Un altro passaggio strategico della ricerca del lavoro non è l’offrire delle disponibilità generiche, ma puntare su obiettivi precisi di luogo, di ruolo, di tipologia d’azienda, di specifico settore dove le competenze di cui siamo portatori possono avere effettivo e positivo riscontro.
“E chi la voglia dar”: che non sono tanti! A noi basta un amatore a risolvere il problema. Si dice: il mercato del lavoro oggi è in crisi ed è difficile. Vero. Ma ciascuno che cerca è un caso unico, che fa una vendita one shot, a un colpo solo. Quando ha venduto le sue competenze ha finito la vendita (almeno per un certo periodo di tempo…). Augurandoci, e qui basta informarsi bene per non cadere in facili trappole, che chi ci ha scelto “possa pagar”.