di Redazione
“La psichiatrizzazione è il nuovo strumento o una negazione della realtà?”. Con queste parole 32 intellettuali francesi hanno chiesto, in un editoriale pubblicato il 7 aprile sul quotidiano Le Figaro, che venga istituito un processo per l’assassinio di Sarah Halimi, la sessantenne ebrea uccisa a Parigi nel 2017. Nella notte tra il 3 e il 4 aprile il vicino di casa musulmano Kobili Traoré si era introdotto nella sua casa e al grido “Allah u Akbar” l’aveva picchiata per poi gettarla dalla finestra.
A metà marzo, una seconda contro perizia sull’indagato aveva concluso “l’incapacità di intendere e di volere” dell’uomo al momento dei fatti, dovuta a un “attacco delirante acuto di origine esotossica” causato da un’eccessiva assunzione di cannabis, che ne aveva alterato il discernimento. Da qui la conclusione di non istituire un processo.
“In Francia oggi essere ebreo sarebbe un incitamento all’omicidio per degli squilibrati psichiatrici? Dobbiamo preparare l’opinione pubblica a una reinterpetazione della decina di assassini di ebrei francesi da parte di islamisti?” si legge nella lettera degli intellettuali, fra cui compaiono Alain Finkielkraut, Jacques Julliard, Pierre Nora, Mona Ozouf, Élisabeth Badinter, Bernard de la Villardière e Sonia Mabrouk.
Nel testo, intitolato “L’assassino di Sarah Halimi non deve sottrarsi a un processo”, concludono: “La fase istruttoria è conclusa. Due opzioni si offrono ai giudici: dare un ‘ordinanza di ‘non luogo psichiatrico’ con un rimando per definire le misure di sicurezza da prendere nei confronti dell’assassino ‘irresponsabile’. Ma i giudici non sono chiamati a ordinare il ‘non luogo a procedere’. Potrebbero anche dare un’ordinanza di messa in accusa davanti alla Corte d’Assise. Esiste la possibilità di un’assoluzione se i giurati stimano che Kobili Traoré era penalmente irresponsabile. Ma almeno ci sarebbe un processo, con dibattimenti contraddittori. Almeno esisterebbe una speranza che giustizia sia resa a Sarah Halimi, vittima di un crimine antisemita barbaro”.