di Ilaria Myr
Trasmettere i valori positivi dell’ebraismo è l’unica sfida per un futuro che sia vitale. Ma anche rafforzare il dialogo con società e istituzioni per contrastare i pregiudizi e favorire un’educazione alla convivenza. Perché, malgrado i truci episodi di cronaca, l’identità ebraica non si deve ridurre alla sola lotta contro l’antisemitismo. Tra speranze e disillusioni: intervista a Yonathan Arfi, neo-presidente del CRIF francese
“Il vostro professore, sporco ebreo, deve smettere di fare il furbo. Gli faremo un Samuel Paty a lui e a suo padre, il vecchio rabbino sionista. Non vogliamo ebrei nelle scuole superiori. Rimani nelle tue sinagoghe. Ci prenderemo cura di lui quando lascerà il liceo”. Questo è il contenuto di una lettera anonima consegnata a una scuola nella regione francese dell’Essonne, a pochi giorni dal secondo anniversario dell’assassinio brutale di Samuel Paty (l’insegnante decapitato a Conflans, vicino a Parigi, 16 ottobre 2020 dopo aver mostrato in classe le caricature di Maometto ai suoi studenti). Minacce chiare, brutali, che hanno costretto a mettere l’insegnante di 30 anni sotto protezione della polizia con agenti fissi davanti a casa sua e all’istituto dove insegna.
È solo l’ultimo in ordine di tempo di una serie di attacchi antisemiti che ormai, da 20 anni a questa parte, racconta un odio antiebraico diffuso e capillare nel Paese dei Lumi, che purtroppo, per chi come noi, guarda dall’esterno, sembra ormai triste attualità, ma che per gli ebrei che vi abitano è invece un avvelenamento costante delle vite.
I dati, del resto, parlano chiaro: nel 2021, secondo l’Ifop, sono stati registrati 589 atti antisemiti, con un aumento di quasi il 75% rispetto al 2020.
Eppure, nonostante ciò, la comunità ebraica francese rimane la più grande d’Europa, con quasi 500.000 membri. Certo, in molti hanno lasciato la Francia per Israele, soprattutto dopo la stagione degli attentati del 2015 a Charlie Hebdo e all’Hyper Cacher spinti dalla paura dell’antisemitismo – si conta che sui quasi 300.000 ebrei francesi che vivono ora in Israele, circa 30.000 sono emigrati negli ultimi 10 anni – ma da allora i numeri si sono molto ridotti: dagli anni di Charlie, la media annuale è stata di circa 2.000-3.000 persone all’anno, con un aumento a 3.500 l’anno scorso. E poi non pochi sono ritornati in Francia, per difficoltà principalmente lavorative e culturali.
Mantenere viva e attiva la comunità ebraica francese, nonostante le difficoltà – primo fra tutti un antisemitismo diffuso – è il primo obiettivo del CRIF, l’organo che rappresenta le organizzazioni ebraiche in Francia, che da giugno ha un nuovo presidente, Yonathan Arfi, 42 anni. Insediato da poco, in occasione dei vent’anni dall’attentato in un ristorante ebraico in Rue des Rosiers, ha portato il CRIF sotto i riflettori per avere chiesto pubblicamente al presidente Macron di fare tutto il possibile per fare giustizia su questo fatto, rimasto ad oggi impunito.
Quali sono a suo avviso le principali sfide che l’ebraismo francese deve affrontare?
Una delle prime sfide è di non ridurre l’identità ebraica alla lotta contro l’antisemitismo: essere ebrei non è essere “anti-antisemiti”, ma è invece far parte di un progetto positivo con dei valori che condividiamo nella società francese e che ci permettono di partecipare al dialogo con la collettività. Siamo dei francesi come gli altri, con una particolarità in più: la nostra identità ebraica, con la quale contribuiamo all’interesse generale.
Una criticità che ci troviamo ad affrontare è che, quando ci sono atti antisemiti, la tentazione è di concentrare il nostro impegno nella lotta contro questi fatti. Ma così facendo si svuota l’ebraismo della sua sostanza e rischiamo di non avere nel futuro più niente da trasmettere alle nuove generazioni.
Dobbiamo invece trovare gli strumenti per comunicare un ebraismo positivo e per parlare della sua storia e del suo spessore politico: in Francia l’ebraismo è vivo da 2000 anni, gli ebrei sono cittadini francesi dal 1791, abbiamo una storia in tutti gli ambiti e quindi per noi è importante riaffermare il nostro contributo positivo alla storia della Francia, malgrado l’antisemitismo.
Una seconda sfida, altrettanto importante, è costruire una rete di alleanze nella società, di trovare cioè degli attori pronti a essere coinvolti al nostro fianco sul tema dell’antisemitismo, perché sappiamo che non risolveremo l’odio antiebraico senza il coinvolgimento degli altri francesi.
Abbiamo bisogno che la società nel suo insieme abbia una maggiore consapevolezza di questo argomento.
Quali sono i suoi obiettivi principali?
Lo scopo del Crif è di migliorare la vita degli ebrei francesi, quindi ci battiamo perché essa sia più semplice e armoniosa.
Il nostro impegno passa dalla lotta contro l’antisemitismo alla difesa della memoria della Shoah, dal miglioramento della convivenza con gli altri cittadini alla lotta contro l’antisionismo e l’odio contro Israele.
Fra i punti prioritari per i mesi che vengono c’è un asse per me fondamentale: l’educazione. Mi rendo sempre più conto che abbiamo bisogno di lavorare con gli insegnanti e con le associazioni dei genitori perché ci sia una migliore sensibilizzazione nei confronti della storia degli ebrei da un lato e della lotta contro l’antisemitismo dall’altro.
Sul piano strategico, inoltre, penso che, pur continuando il lavoro di collaborazione con le istituzioni, si debba investire di più sulla relazione con i diversi attori della società francese. Per questo a fine agosto abbiamo lanciato sul nostro sito le Interviste Crif, che due volte alla settimana danno la parola a diverse personalità che vanno ad arricchire il dibattito civico attorno a temi essenziali.
La Francia sembra essere trascinata da 20 anni in una spirale di antisemitismo sempre crescente. E che le istituzioni facciano fatica a riconoscere la matrice antisemita dei gravi episodi di violenza…
La Francia è stata il laboratorio di un nuovo antisemitismo, che ha colpito dagli anni 2000 in Europa occidentale in nome dell’islamismo, dell’odio nei confronti di Israele e del complottismo: tutti, questi, nuovi volti dell’antisemitismo. E la Francia è il paese in cui questo fenomeno ha colpito più presto e in maniera più forte rispetto agli altri: pensiamo all’assassinio di Ilan Halimi, nel 2006, all’attacco alla scuola ebraica di Tolosa, nel 2012, e a quello all’Hyper Cacher, nel 2015. E poi all’assassinio di Sarah Halimi e Mireille Knoll: tutti casi che hanno fatto della Francia un caso particolare, ma in realtà le dinamiche sono le stesse in tutto il resto dell’Europa, e oggi anche negli Stati Uniti, dove si assiste a una crescita importante di atti antisemiti.
Sicuramente è stato difficile inizialmente fare capire che gli atti antisemiti non facevano parte della violenza ordinaria, che bruciare un palazzo qualsiasi o una sinagoga non fosse la stessa cosa: fin dal principio degli anni 2000 ci siamo quindi battuti per fare capire che a monte c’era invece un sentimento di odio nei confronti degli ebrei.
Oggi la difficoltà maggiore è trasmettere il carattere antisemita nei casi di episodi di odio contro Israele, che nutrono l’antisemitismo.
Nell’ultimo decennio molti ebrei francesi hanno lasciato la Francia per Israele a causa dell’antisemitismo. Cosa può fare il Crif per fermare questa tendenza? O la Francia è destinata a restare senza ebrei?
La decisione di vivere in Israele è una scelta individuale e quindi l’obiettivo è di fare in modo che le persone facciano la loro scelta nella maniera più serena possibile, senza dovere partire per paura. Certo, è indubbio che molta gente sia partita per Israele a causa dell’antisemitismo e perché vede in Israele una lotta comune contro questo fenomeno, che invece da noi non c’è. Ma penso fermamente che la comunità ebraica in Francia abbia un futuro e che sarà sempre una comunità forte. Continuare a dare un messaggio positivo contribuirà a costruire un domani per gli ebrei.
Bensoussan: «Gli ebrei in Francia hanno i giorni contati»
«In Francia l’antisemitismo è incistato in una parte della popolazione. C’è quello originario, che da dopo la guerra è molto diminuito, a cui si è affiancato quello di matrice arabo-musulmana: questo non ha, per ragioni storico-geografiche, alcun senso di colpa nei confronti degli ebrei per la Shoah, e anzi va a liberare quello originario. Quindi l’accelerazione pericolosa dell’antisemitismo oggi in Francia è legata unicamente all’antisemitismo musulmano, che ha causato negli ultimi 20 anni l’uccisione di diversi ebrei». Non usa mezzi termini lo storico francese Georges Bensoussan, che da anni parla di antisemitismo musulmano (e che per questo ha dovuto affrontare un processo giudiziario, conclusosi poi con l’assoluzione). Per lo storico è ancora molto presente nel Paese la difficoltà di ammettere la matrice musulmana di molti episodi di odio contro gli ebrei: «manca il coraggio, per paura di essere accusati di razzismo e per tenersi buono il mondo musulmano. Ma ci vuole il coraggio di dire che conoscere le matrici culturali delle popolazioni migranti è molto importante per capire cosa succede nella nostra società».
L’antisemitismo però è presente anche nella politica francese, dalla destra alla sinistra estrema. «Il Front National di Marine Le Pen si rifà a una concezione unificatrice di nazione, mentre la sinistra estrema di Melenchon è erede di un antisemitismo di estrema sinistra del XIX secolo, a cui si aggiunge una condanna smisurata e ‘diabolizzante’ di Israele».
Ma che futuro ha la comunità ebraica? «L’islam è la seconda religione di Francia e penetra ovunque in Europa, e la piccola comunità ebraica d’Europa sta vivendo i suoi ultimi giorni. Il futuro degli ebrei d’Europa non è per nulla garantito, e ancora meno quello degli ebrei francesi. Forse rimarrà sempre un piccolo nucleo ebraico, ma dovrà per forza essere discreto e il meno visibile possibile».