di Marina Gersony
È di questi giorni la notizia che un tribunale di Parigi ha giudicato lo scorso 7 luglio undici persone colpevoli di aver inviato migliaia di messaggi oltraggiosi e carichi di odio online all’allora sedicenne francese nota come «Mila», che nel gennaio del 2020 aveva pubblicato su Instagram un video in cui criticava l’Islam.
La giovane aveva reagito con commenti anti-islamici dopo che un blogger musulmano l’aveva definita una «sporca lesbica» per via di alcune esternazioni sulla sua identità sessuale. Poteva rimanere un semplice filmato postato da un’adolescente su un social, invece è diventato virale con conseguenze politiche, religiose e giudiziarie suscitando un enorme polverone e richiedendo l’intervento delle istituzioni. Da quel giorno Mila è sprofondata in un incubo: in poche ore dalla pubblicazione del video ha ricevuto migliaia di insulti, minacce di morte, tortura e stupro, tanto da dover lasciare la scuola e vivere sotto scorta. Il caso, diventato famoso con il nome di Affaire Mila, continua a dividere l’opinione pubblica francese.
Il valore simbolico della sentenza contro l’odio online
La decisione del tribunale di Parigi, è il primo caso per la lotta contro l’odio online. Il tribunale si è pronunciato quindi nei confronti di tredici giovani di età compresa tra i 18 e i 30 anni provenienti da diverse zone della Francia, processati per aver partecipato al cyberbullismo nei confronti della ragazza. Le pene vanno dai quattro ai sei mesi di reclusione. Sui tredici imputati assicurati alla giustizia, due di loro sono sfuggiti alla sentenza, il primo per una violazione procedurale e il secondo è stato rilasciato. Una decisione vagliata con attenzione in quanto determinante per la lotta contro l’incitamento all’odio online. Gli altri undici imputati hanno ricevuto la sospensione della pena e quindi sconteranno la pena detentiva solo se saranno condannati per altri reati. Alcuni dovranno anche pagare € 1.500 di danni all’adolescente, oltre a € 1.000 per le sue spese legali.
La decisione di giustizia è stata accolta con sollievo dalla famiglia di Mila e dai suoi sostenitori, per il «suo valore simbolico importante»: la procura ha così ribadito il diritto in merito alla nozione di «blasfemia». Per diversi giuristi in questa vicenda è in gioco il diritto di espressione che in Francia, patria della laicità, riguarda anche le religioni.
Nel frattempo ragazza ha scritto il libro-testimonianza Je suis le prix de votre liberté (Grasset, in cui descrive la violenza di un’era «ubriaca di social media”, denuncia gli stalker protetti dal loro anonimato e invita il Paese a non arrendersi mai.