La stele di Ilan halimi danneggiata

Allarme antisemitismo in Francia: vandalizzata la stele a Ilan Halimi. E gli ebrei fuggono

Mondo

di Ilaria Myr

Il 1 novembre la stele eretta a Bagneux in omaggio a Ilan Halimi  è stata profanata con insulti e oscenità. Qui il ragazzo ebreo, 23 anni, nel 2006 era stato tenuto prigioniero e torturato dalla “banda dei barbari”, che l’aveva poi lasciato agonizzante sul ciglio di una strada. La sua colpa: essere ebreo, quindi ricco, e quindi la sua famiglia e la sua comunità  capaci di pagare un riscatto.

La stele situata in un parco comunale, è stata trovata da dei passanti, che l’hanno vista coperta di scritte antisemite e insulti, e con una svastica accanto alla scritta “Liberate Fofana” (il capo della gang dei barbari).

“Questi atti, sono un insulto a questo giovane e a tutti coloro che lottano contro l’antisemitismo e il razzismo” ha dichiarato la sindaca di Bagneux Marie-Hélène Amiable, dopo la scoperta di venerdì 1 novembre.

“Quetso atto vigliacco e odiosa urta la memoria della vittima e costituisce u affronto ai valori della Repubblica” ha dichiarato il ministro degli interni Gérard Collomb in un comunicato, in cui spera che “tutto venga fatto per identificare gli autori di questo atto in modo che possano renderne conto davanti alla giustizia”.

Non è la prima volta che il monumento a Ilan Halimi viene vandalizzato. Eretto nel 2011, già nel 2015 era stata rotta, e i colpevoli non erano mai stati ritrovati.

Aveva dunque ragione la madre di Ilan Halimi, Ruth Halimi, quando nel 2007 aveva deciso di seppellire il figlio a Gerusalemme perché “almeno lì avrebbe potuto riposare in pace”.

Un antisemitismo quotidiano

L’atto vandalico contro la stele a Ilan Halimi è solo uno dei sempre più numerosi atti antisemiti che ogni giorno vengono perpetrati in Francia. Come sottolinea un’inchiesta di Le Monde pubblicata il 2 novembre e ripresa oggi 3  novembre da Giulio Meotti sul Foglio, “gli atti contro le sinagoghe o le scuole per la prima volta sono ora diretti alle persone, in strada o a casa”.

Dal 2006, anno dell’assassinio di Ilan Halimi, a oggi ci sono stati episodi eclatanti – l’attentato alla scuola ebraica di Tolosa, quello all’Hyper Cacher – e molti altri fatti quotidiani che portano gli ebrei a sentirsi sotto una minaccia costante.

«Il Monde parla di “un antisemitismo del quotidiano” che ha messo sotto pressione tante famiglie ebraiche – scrive Meotti -. Un atto razzista su tre commesso in Francia è diretto contro un ebreo, mentre gli ebrei rappresentano meno dell’un per cento della popolazione”, recita nel suo ultimo rapporto il Servizio di protezione della comunità ebraica. Ma queste cifre, basate sui rapporti della polizia, non raccontano tutto, perché “molte vittime di violenze antisemite non presentano denuncia”. A Garges-lès-Gonesse (Val-d’Oise), alcuni giovani che avevano costruito la succà nel cortile della sinagoga sono stati attaccati e insultati dai altri del quartiere al grido di “sporchi ebrei, vi faremo la pelle”. Nel loro libro “Il prossimo anno a Gerusalemme?”, Jérôme Fourquet e Sylvain Manternach raccontano dello svuotamento degli storici quartieri ebraici. E le scuole si adattano: i bimbi ebrei lasciano le scuole pubbliche a favore di quelle private».

Accanto all’emigrazione ebraica in Israele (5.000 partenze nel 2016, 7.900 nel 2015), dunque c’è ora la “mobilità elevata”, generalmente dalla parte orientale a quella occidentale di Parigi. 60 mila ebrei hanno lasciato l’Ile-de-France negli ultimi dieci anni verso il XVI e XVII arrondissement di Parigi. Si svuota Sarcelles, Val-d’Oise, 60 mila abitanti, la “Piccola Gerusalemme”, che secondo il suo ex sindaco, François Pupponi, è oggi “sopraffatta da richieste di trasferimento, decine al mese. Le vittime dell’antisemitismo tendono a raggrupparsi”. Nel sud-est di Parigi, Saint-Mande, 22 mila abitanti, è ancora segnata dall’assalto all’Hyper Cacher nel gennaio 2015. Un mese dopo l’attacco, il Concistoro ha pubblicato un annuncio, esortando a fare aliyah a Limoges.

Una seconda fuga, per molti di questi ebrei, che arrivarono dai paesi arabi – Marocco, Algeria, Tunisia – fra gli anni ’50 e ’60, e che ora sono costretti a fuggire. Ancora semplicemente perché sono ebrei.