Dopo 482 giorni di prigionia, gli ostaggi israeliani Agam Berger, Gadi Moses e Arbel Yehoud, insieme a cinque cittadini thailandesi, sono stati rilasciati da Hamas giovedì 30 gennaio, in due località separate della Striscia di Gaza. Il rilascio è avvenuto in un contesto di tensioni, con Israele e Hamas che si sono scambiati accuse di violazioni del cessate il fuoco.
Agam Berger, osservatrice dell’IDF, è stata consegnata alla Croce Rossa a Jabalya, nel nord di Gaza, dopo essere stata mostrata su un palco da Hamas con un “certificato di rilascio”. Successivamente, è stata presa in consegna da un’unità d’élite dell’IDF e dal servizio di sicurezza Shin Bet, trasportata in Israele e poi trasferita all’ospedale Beilinson, dove l’attendevano altre quattro osservatrici militari rilasciate nei giorni precedenti.
Arbel Yehoud e Gadi Moses sono stati consegnati alla Croce Rossa a Khan Yunis, nel sud di Gaza, in circostanze caotiche. Un video diffuso dalla Jihad Islamica mostrava i due che si abbracciavano prima della liberazione. Le immagini del trasferimento sono state segnate da grandi folle che hanno ostacolato il passaggio dei veicoli della Croce Rossa, spingendo il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu a ritardare il rilascio dei prigionieri palestinesi fino a quando Hamas non avesse garantito maggiore sicurezza nel processo di liberazione. I prigionieri saranno rilasciati alle 17 ora locale.
Il luogo scelto per la consegna degli ostaggi a Khan Younis alla Croce Rossa non è casuale: si è svolto infatti davanti alla casa di Yahia Sinwar. Una scelta eloquente e simbolica da parte dell’organizzazione terroristica.
I cinque ostaggi thailandesi rilasciati sono Pongsak Thenna, Sathian Suwannakham, Watchara Sriaoun, Bannawat Seathan e Surasak Rumnao. In Thailandia, le loro famiglie hanno accolto la notizia con sollievo e gioia, mentre il presidente israeliano Isaac Herzog ha incontrato l’ambasciatore thailandese per celebrare il ritorno dei lavoratori rapiti. Tuttavia, un altro cittadino thailandese, Natthapong Pinta, resta ancora nelle mani di Hamas, insieme ai corpi di altri due ostaggi thailandesi uccisi.
Il rilascio rientra in un accordo più ampio iniziato il 19 gennaio, con Hamas che si è impegnato a liberare 33 ostaggi in 42 giorni. Ogni settimana sono previsti nuovi rilasci, con tre ostaggi alla volta, fino al rilascio degli ultimi 11 nella fase finale. In cambio, Israele libererà decine di prigionieri palestinesi: per Berger sono previsti 50 detenuti, per Yehoud 30 e per Moses altri 30, principalmente condannati a lunghe pene detentive. Tuttavia, il rilascio dei cittadini thailandesi è avvenuto al di fuori di questo quadro e non ha comportato alcuna liberazione di prigionieri palestinesi.
I prossimi rilasci di ostaggi a Gaza sono previsti per questo sabato, il primo di febbraio.
Le identità degli ostaggi liberati giovedì 30 gennaio
Il caso di Arbel Yehoud è emblematico della sofferenza delle famiglie degli ostaggi. 29 anni, originaria del kibbutz Nir Oz, ha vissuto l’assalto del 7 ottobre in contatto con i suoi genitori, prima che ogni comunicazione si interrompesse. Suo padre Yechiel è diventato una voce importante nella campagna per il rilascio degli ostaggi, esprimendo frustrazione nei confronti del governo israeliano per non aver fatto abbastanza.
Agam Berger, 20 anni, giovane soldatessa israeliana, era tra le sette osservatrici dell’IDF rapite dalla base di Nahal Oz. Il suo destino si intreccia con quello delle altre soldatesse rapite e successivamente rilasciate. Durante la prigionia, Agam avrebbe mantenuto la fede e contribuito a prendersi cura delle altre prigioniere, diventando una figura di resilienza.
Gadi Moses, 80 anni, agronomo e pacifista, è il più anziano tra gli ostaggi rilasciati. Rapito mentre cercava di proteggere la sua famiglia, la sua sopravvivenza è stata accolta con sollievo, anche se la sua compagna è stata uccisa durante l’attacco al kibbutz. La sua storia sottolinea il dramma umano dei kibbutznikim impegnati nel dialogo e nella coesistenza pacifica con i vicini palestinesi.
Parallelamente, il rilascio degli ostaggi thailandesi evidenzia il ruolo dei mediatori internazionali. Il governo thailandese ha fatto pressioni su Qatar, Stati Uniti ed Egitto per ottenere la liberazione dei propri cittadini, dimostrando l’importanza della diplomazia nelle trattative per la fine della guerra.
Questi rilasci, sebbene rappresentino un passo avanti, non segnano la fine del conflitto. Restano ancora molti ostaggi a Gaza, mentre la guerra continua a devastare la regione.
La strategia mediatica di Hamas
L’evento in cui Hamas ha esibito quattro soldatesse israeliane su un palco a Gaza ha suscitato un ampio dibattito, sia in Israele che nel mondo arabo. Le donne, rapite il 7 ottobre 2023, sono state presentate in uniforme militare, nonostante fossero state sequestrate in pigiama. Il contesto e il messaggio di Hamas sono stati chiari: voler trasmettere un’immagine di potere, controllo e vittoria, ritratti come le figure dominanti nelle negoziazioni dei prigionieri.
L’esibizione, seppur breve, è stata ripetutamente trasmessa, diventando un simbolo per molti: per i palestinesi, un segno di forza e resistenza; per gli israeliani, un’umiliazione psicologica per le soldatesse, costrette a “performare” come prigioniere liberate. Nonostante le condizioni dure di prigionia, le donne apparivano ben curate, simbolizzando l’idea di essere trattate meglio rispetto ai prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane.
Il gesto delle soldatesse che alzavano le mani sul palco ha ribaltato il significato dell’evento, interpretato da alcuni come un atto di resistenza, simbolo di forza piuttosto che di sottomissione. In Israele, la scena è stata reinterpretata come una testimonianza di dignità e resilienza, contrastando l’immagine di vittimismo proposta da Hamas.
(Nella foto, Agam Berger ritrova i suoi genitori. Foto: IDF)