Guerra all’Iran: gli intellettuali israeliani si rivolgono all’avvocato

Mondo
Procuratore generale Yehuda Weinstein

Mentre i soldati israeliani, in caso di attacco all’Iran, si dicono pronti ad eseguire gli ordini che verranno loro impartiti, un gruppo di 20 fra i maggiori scrittori e intellettuali israeliani, si è rivolto ad un avvocato per preparare una lettera con cui chiedono al premier Benjamin Netanyahu di non procedere ad alcuna azione contro l’Iran  senza l’approvazione del governo.
I firmatari delle lettera – che verrà inviata oggi, 22 agosto, al procuratore Yehouda Weinstein – chiedono una risposta entro domani. In caso contrario si rivolgeranno direttamente alla Corte di Giustizia.

Incaricato di redigere la lettera per Weinstein è l’avvocato Michael Sfard. “Un attacco contro l’Iran avrà conseguenze enormi su ogni possibile campo di attività – sia che si tratti di un attacco ‘chirurgico’ o di una guerra globale; si tratta perciò del preciso genere di azione sul quale il legislatore ha stabilito che solo il governo può decidere”.

Due settimane fa, lo stesso gruppo di intellettuali aveva inviato una lettera, con le medesime richiesta,  direttamente al premier Netanyahu.

Il procuratore Eldad  Yaniv – che è fra i firmatari insieme ad  Amos Oz, Yoram Kaniuk, Sami Michael, Zeruya Shalev, Nir Baram, Eshkol Nevo, Ram Oren, Ronit Matalon – ha spiegato che la decisione di rivolgersi ad un avvocato è nata dalla considerazione che la guerra all’Iran è “una questione seria, dalle conseguenze fatali; come tale non può essere l’argomento solo di un’altra petizione”.

Sul quotidiano Haaretz di oggi, è apparso anche un lungo editoriale dello storico Zeev Sternell, che a proposito di Netanyahu e del Ministro della Difesa Barak, parla senza mezzi termini di “megalomania senza precedenti”.

Sternell mette a confronto l’azione che Netanyahu e Barak stanno preparando contro l’Iran con quella di altri capi di governo, da David Ben Gurion – al quale i due sostengono di ispirarsi – ad Ariel Sharon, che nel 1982 guidò le operazioni in Libano con l’idea di trasformare l’intera regione “in un grande protettorato israeliano”.  “Persino Sharon, osserva Sternell, non attaccò prima di aver ricevuto il tacito accordo da Washington”.

“Netanyahu e Barak sono i primi leader israeliani  disposti a correre il rischio di una guerra difficile e complicata solo per attuare un piano strategico che è ancora più megalomane di quello di Sharon, un piano pensato per dimostrare che Israele ha il potenziale utile ad esercitare il controllo su una regione che va ben oltre i suoi confini.”

“Tutti sono d’accordo che Israele non è in grado di distruggere gli impianti nucleari iraniani, ma solo di ritardare per un breve periodo il loro sviluppo per obiettivi militari”, scrive ancora Sternell. E dunque, alla fine di tutto, conclude Sternell, “la domanda è: vale la pena sacrificare tante vittime per questo obiettivo? vale la pena generare una protesta globale, oltraggiare gli Stati Uniti, e far perdere a Israele un ulteriore strato della sua legittimità morale?”