di Paolo Salom
Ma Israele non è invitato. Che si voglia sacrificarlo, come la Cecoslovacchia nel 1938?
Nel lontano Occidente tutti sanno qual è la ricetta giusta per la pace in Medio Oriente (leggasi: tra israeliani e palestinesi). Per esempio, gli americani hanno spinto molto per avvicinare i due popoli. A seconda delle Amministrazioni in carica, con maggiore o minore empatia per una delle parti. Non staremo a ripetere la storia del processo negoziale iniziato con gli accordi di Oslo, ma insomma, possiamo serenamente affermare che l’attuale presidente, Barack Obama, è apparso il più neutrale nella disputa (nonostante la sanguinosa risposta dei palestinesi alle offerte di accordo in tutti questi anni) e anche lui, a pochi mesi dalla fine del mandato, ha gettato la spugna. Non senza criticare aspramente l’attuale dirigenza israeliana, alla quale un po’ ingenerosamente ha imputato le responsabilità maggiori del fallimento. Fine dei giochi? La palla di nuovo in mano ai diretti interessati, perché trovino finalmente tra di loro un accordo, realistico e adatto alla situazione? Macché: tutti sanno qual è la ricetta giusta, abbiamo affermato. E infatti, in una regione afflitta da guerra e rivolte, terrorismo e ineguaglianze, il presidente Hollande – ultimo campione autonominatosi del lontano Occidente – si è dato la briga di organizzare una (pomposa?) “Conferenza di pace per il Medio Oriente”, in una Parigi semi-sommersa dalla Senna, invitando il segretario di Stato Usa John Kerry e i rappresentanti di altri 25 Paesi (Lega Araba e Ue incluse), ma non i diretti interessati: «Mettere ora intorno allo stesso tavolo i contendenti avrebbe significato la fine dei negoziati dopo tre minuti», ha fatto sapere una fonte anonima del Quai d’Orsay. Ma allora a che scopo parlare di pace? Sappiamo che i negoziati sono un terreno minato. Altrimenti, in vent’anni e più da Oslo, un qualche risultato si sarebbe ottenuto. In ogni caso, è evidente che nessuno può imporre un accordo se i protagonisti del conflitto secolare non lo considerano quanto meno un accettabile compromesso tra le proprie aspettative e la (dura) realtà dei fatti. Eppure, la Francia si è data l’impossibile missione di riuscire dove tutti hanno fallito. Perché? Forse per ragioni diverse da quelle dichiarate? È legittimo pensarlo, a scorrere le drammatiche cronache degli ultimi anni, con le stragi e gli attentati a Parigi e altrove a opera di fanatici islamici. In passato, un diplomatico francese definì Israele “that shitty little State”. Tralasciamo la traduzione. Ma se l’idea che muove i soloni d’Occidente è ancora questa, se qualcuno immagina di scambiare lo Stato ebraico per la Cecoslovacchia del 1938, ha fatto male i suoi calcoli. Per quanto dura sia la situazione, a Gerusalemme è chiaro quale sia la rotta da tenere. La pace è il naturale obiettivo. Ma non se prevede un contestuale suicidio: abbiamo già dato abbastanza.