di Nathan Greppi
Dopo che il 7 ottobre il confine meridionale d’Israele si è ritrovato senza difese di fronte ai terroristi di Hamas, la reazione dell’IDF è riuscita a ribaltare la situazione, arrivando a prendere il controllo di Gaza in cerca degli ostaggi rapiti. Ma mentre la situazione si evolve giorno per giorno, rimangono delle incognite su cosa accadrà a guerra finita: cosa farà Israele dopo con la Striscia? La occuperà o ne cederà il controllo ad Abu Mazen? E quale sarà l’impatto sui rapporti tra Israele e Stati Uniti?
Ha provato a formulare delle ipotesi, il politologo americano Edward Luttwak, esperto di storia militare e relazioni internazionali: già docente negli anni Sessanta all’Università di Bath (in Inghilterra), è stato consulente per il Ministero della Difesa e il Dipartimento di Stato americano. I suoi libri sono stati tradotti in decine di lingue, i suoi articoli pubblicati su alcune delle più importanti testate americane, tra cui il New York Times, The New Republic, Foreign Affairs e Commentary.
Come vede la situazione attuale?
Gli israeliani stanno combattendo molto lentamente, perché la loro priorità è di non perdere soldati. Fare in fretta vorrebbe dire avere molti più morti, e invece il numero di soldati caduti al momento è piuttosto basso. Un altro elemento è che gli israeliani vorrebbero usare molto di più il potere dell’aria, la flotta aerea, ma Joe Biden non è d’accordo, perché ci sarebbero molte più vittime. Lo scopo di Israele è di arrivare ai quadri e leader più importanti di Hamas, alle loro strutture di comando situate nei tunnel.
Inizialmente si pensava di affidare il controllo della Striscia all’ANP ma di recente Netanyahu ha detto di volerla occupare. Quale sarebbe l’opzione migliore per la sicurezza d’Israele?
In questa situazione, Netanyahu non può più prendere decisioni da solo, perché c’è un governo di coalizione e lui deve fare quello che decide la coalizione. Al momento, l’opzione più probabile è che il controllo della Striscia venga affidato all’Autorità Nazionale Palestinese, che però deve essere persuasa a farlo, perché non sono per nulla entusiasti all’idea di assumersi questa responsabilità.
Il 7 ottobre ha rivelato le falle dei sistemi di sicurezza israeliani…
Un tipico errore dell’intelligence israeliana è dovuto al fatto che gli israeliani sono tradizionalmente ottimisti, e questo li espone a rischi. In quel momento avevano pochissima gente in prima linea, erano così pochi da non avere il numero sufficiente di persone nemmeno per gestire i loro sistemi tecnologici. Questo è dovuto a un ottimismo congenito, necessario per far sopravvivere uno Stato in condizioni impossibili, ma anche negativo perché trascuri le dovute precauzioni.
Il sostegno di Biden a Israele sembra averlo indebolito tra i democratici più radicali. Com’è la situazione nel suo partito?
Quelli che sono contro Israele, nel Partito Democratico, non hanno nessun impatto concreto. Biden non ha un concorrente che possa portargli via dei voti sulla base di un pollice verso nei confronti di Israele. Urlano e piangono, ma non possono fare niente.
Nel 2024 ci saranno le elezioni presidenziali negli Usa. A seconda che vincano i repubblicani o i democratici, quale sarà l’impatto sui rapporti tra Washington e Gerusalemme?
Non ci sarà nessun cambiamento. A prescindere da chi vince o da chi perde, nessun partito vuole davvero cambiare posizione su Israele. I democratici di sinistra fanno molto rumore, ma nei voti sono marginali. E nel Partito Repubblicano non esiste una vera opposizione interna. Non ci sarà nessun impatto sui rapporti con Israele.
(Nella foto: Joe Biden con Beniamin Netanyahu)