di Nathan Greppi
Non si fermano le polemiche in seno al mondo delle associazioni LGBTQ+ in merito alle posizioni sulla guerra tra Israele e Hamas; dopo che già a dicembre Magen David Keshet Italia, unica organizzazione ebraica italiana per i diritti LGBTQ+, si è schierata pubblicamente contro le posizioni antisraeliane assunte da altre organizzazioni dopo il 7 ottobre, in questi mesi la discussione si è fatta sempre più globale. Il 13 giugno l’ILGA (International Lesbian, Gay, Bisexual, Trans and Intersex Association) ha pubblicato un appello in cui chiedeva un cessate il fuoco permanente per vari conflitti in giro per il mondo, ma soffermandosi in maniera particolare su Gaza.
La risposta dell’ebraismo LGBTQ+
In risposta, è giunto un contro-appello da parte dell’organizzazione World Congress of GLBT Jews: Keshet Ga’avah (di cui fa parte anche Keshet Italia), in cui si legge: “Cari amici, abbiamo letto più volte e con estrema attenzione la vostra dichiarazione sulla situazione globale e sulle guerre in corso in tutto il mondo. Siamo sconcertati dall’estrema attenzione rivolta al conflitto israelo-palestinese. Non abbiamo letto alcuna parola sugli attentati del 7 ottobre, né alcuna considerazione per le sofferenze delle vittime israeliane del terrorismo”.
Rivolgendosi direttamente all’ILGA, dicono che “non ha fatto menzione della ferocia e della crudeltà con cui i terroristi hanno agito sui civili. Migliaia di famiglie ora piangono la morte di bambini uccisi nei loro primi anni di vita. Abbiamo visto donne stuprate ripetutamente, e anziani vittime di violenza. Decine di migliaia di israeliani sono stati costretti a lasciare le loro case perché non erano più al sicuro. Anche noi piangiamo la perdita di vite umane a Gaza. La guerra è sempre una cosa orribile e tutti auspichiamo la pace, ma se lo facciamo schierandoci in modo così palesemente arbitrario e ideologico, il risultato sarà sempre deludente e di nessun aiuto alla parte che si cerca di sostenere”.
Aggiungono che le “associazioni ebraiche LGBTQ+ sono in seria difficoltà a causa della campagna di odio verso gli ebrei, ed è difficile se non impossibile per noi partecipare alle parate del Pride in sicurezza. La vostra dichiarazione non fa che aumentare questa sensazione e il pericolo che ne deriva. Vogliamo la pace e la convivenza tra i popoli, ispirandoci alla visione tramandataci dagli attivisti di Stonewall”.
L’appello di Keshet Ga’avah si conclude così: “Esprimiamo la nostra tristezza e preoccupazione per una dichiarazione che invoca la pace ma ci esclude anche dal più semplice dibattito per la difesa dei diritti di tutti, e delle persone LGBTQ+ in particolare. Ci sentiamo rinchiusi in quell’armandio che ci ha tenuti prigionieri per secoli. Felice Pride Month”.
Serafino Marco Fiammelli: “gli ebrei esclusi dalle manifestazioni”
Per capire qual è l’aria che tira nella galassia LGBTQ+, Mosaico ha interpellato Serafino Marco Fiammelli, Presidente del World Congress of GLBT Jews, secondo il quale il comunicato dell’ILGA “è abbastanza aggressivo, non tanto nei toni quanto nello zelo con cui seguono il conflitto israelo-palestinese”. Quando la sua associazione ha risposto, “la loro replica è stata patetica; hanno detto ‘no, noi non possiamo essere accusati di non tenere conto di quello che è successo il 7 ottobre né della questione degli ostaggi’, sui quali avevano scritto un precedente comunicato. Peccato che nell’ultimo comunicato, non facevano menzione di tutto ciò. Sembrava la classica giustificazione di chi dice ‘non sono antisemita, ho anche amici ebrei’, un pò come quando certi omofobi dicono ‘abbiamo tanti amici gay’”.
Ha spiegato che il clima che si sta creando fa sì che molti ebrei non si sentano i benvenuti ai Pride: “Per esempio, a Londra tutte le associazioni ebraiche, pur essendo molte e variegate, hanno deciso di non sfilare”. Aggiunge che “personalmente non ho alcun problema con la libertà di espressione nei limiti che la legge ci impone, comprese prese di posizione dalla parte dei palestinesi o di Israele. Quello che trovo strano è che sta succedendo la stessa cosa avvenuta il 25 aprile: si porta all’interno di una manifestazione come il Pride, che ricorda l’inizio della liberazione delle persone LGBT iniziato a Stonewall nel 1969, istanze che non hanno nulla a che vedere con la manifestazione”.
“A voler pensare male”, aggiunge Fiammelli, “credo che i leader LGBTQ+ facciano entrare all’interno del movimento il conflitto israelo-palestinese per escludere le associazioni ebraiche. Nel senso che ci consentono di venire, ma a patto che non mostriamo, per usare le loro parole, ‘simboli israeliani’. E qui, già emerge l’ignoranza di chi non sa distinguere la bandiera israeliana dalla bandiera arcobaleno con il Magen David. E poi, il confine tra ‘simbolo ebraico’ e ‘simbolo israeliano’ è talmente sottile da essere risibile. In più, spesso ci è stato chiesto di prendere posizione sul cosiddetto ‘genocidio palestinese’, quando in quanto ebrei nessuno ci può imporre di prendere posizione contro Israele”.
Ha concluso dicendo che quello che escludendo gli ebrei, “il movimento LGBT internazionale rinnega i propri principi fondativi. Nessuno dovrebbe rimanere fuori ed essere lasciato solo”. Pertanto, quello che sta succedendo “non riguarda solo l’orientamento sessuale. È una questione ebraica, che ci riguarda tutti come ebrei”.