di Nathan Greppi
Per capire come si sta evolvendo la situazione in Medio Oriente e provare a formulare delle ipotesi sugli sviluppi a lungo termine, abbiamo parlato con il politologo israeliano Efraim Inbar, docente emerito presso l’Università Bar-Ilan e già presidente del Jerusalem Institute for Strategy and Security (JISS). Lunedì 17 marzo sarà ospite di una conferenza presso la sede del Senato a Roma, organizzata dal Centro Studi Politici e Strategici Machiavelli. (Nella foto, le Alture del Golan. Fonte: Encyclopedia Britannica)
La guerra scoppiata dopo il 7 ottobre non ha avuto ripercussioni solo su Israele e i palestinesi, ma ha scatenato una reazione a catena in tutta la regione: l’indebolimento di Hezbollah ha contribuito indirettamente al crollo del regime di Assad, che a sua volta ha portato da una parte all’indebolimento dell’asse sciita guidato dall’Iran, e dall’altra parte al rafforzamento dell’influenza turca nella regione. Ciò, a sua volta, ha portato ad un cambiamento nell’atteggiamento da parte dei curdi, che dopo decenni di lotta armata oggi sembrano aver ottenuto la possibilità di entrare a far parte delle nuove istituzioni siriane.
Per capire come si sta evolvendo la situazione in Medio Oriente e provare a formulare delle ipotesi sugli sviluppi a lungo termine, abbiamo parlato con il politologo israeliano Efraim Inbar, docente emerito presso l’Università Bar-Ilan e già presidente del Jerusalem Institute for Strategy and Security (JISS). Lunedì 17 marzo sarà ospite di una conferenza presso la sede del Senato a Roma, organizzata dal Centro Studi Politici e Strategici Machiavelli.

Quanto ritiene che possa durare ancora la tregua tra Israele e Hamas?
In Medio Oriente, le tregue sono sempre temporanee. Prima o poi la guerra ricomincerà, ma è difficile dire quando ciò accadrà. Ci sono in gioco diversi fattori: l’atteggiamento di Hamas, la loro volontà o meno di rilasciare altri ostaggi, la pazienza del presidente americano Trump. E infine, naturalmente, dipende da quanto l’IDF sia preparata a riprendere i combattimenti.
Chi pensa che dovrebbe governare Gaza quando Hamas sarà sconfitta? Israele, l’Autorità Nazionale Palestinese, gli Stati Uniti o una coalizione internazionale?
Vi è chiaramente un consenso internazionale, soprattutto da parte degli Stati Uniti e dei paesi arabi moderati, sul fatto che Hamas non deve più governare Gaza. Ovviamente, anche l’ANP vorrebbe governarla, ma non ne è capace, in quanto riesce a malapena a gestire la Cisgiordania, dove deve combattere le milizie che vorrebbero rovesciarla. Tuttavia, a parte Israele non vedo nessuno che abbia sia la forza militare che la volontà di spazzare via il dominio di Hamas. Gli Stati arabi non le hanno.
Spostandoci da sud a nord, dopo la caduta di Assad l’Iran e la Russia hanno perso un alleato, ma in compenso l’influenza turca in Siria si è rafforzata.
La Turchia è un paese militarmente molto potente, che possiede il secondo più grande esercito della NATO. È un attore importante sullo scacchiere mediorientale, che sotto l’islamista Erdogan è governato da quella che di fatto è la versione turca della Fratellanza Musulmana. E l’attuale regime in Siria è grossomodo un proxy della Turchia, che oggi è fortemente schierata contro Israele, tanto che nei loro proclami dicono spesso di voler “liberare Gerusalemme”.
Come viene vista la minaccia rappresentata dalla Turchia in Israele?
La crescente influenza turca in Siria è un problema per Israele. L’obiettivo del governo israeliano, oggigiorno, dev’essere quello di assicurarsi che non vi siano truppe turche vicino ai nostri confini. Tuttavia, già adesso sappiamo che agenti dell’intelligence turca si aggirano vicino al confine israeliano.
Nell’ultima settimana, il nuovo governo siriano ha iniziato a combattere contro gli alawiti e altri ex-alleati di Assad, massacrando numerosi civili. Come ha reagito Israele a questo sviluppo della situazione siriana?
Sebbene Israele non abbia interesse a farsi coinvolgere negli affari interni siriani, ha dichiarato che comunque si sente responsabile per garantire la sicurezza dei drusi in Siria.

Come pensa che evolveranno le nuove relazioni tra Israele e i drusi siriani? Israele dovrebbe occupare altre terre in Siria oltre al Golan?
Le truppe israeliane hanno già creato una zona cuscinetto a est delle alture del Golan. Inoltre, Israele ha distrutto gran parte dell’arsenale del vecchio regime, colpendo periodicamente le risorse militari siriane affinché la nuova Siria non possa costituire una minaccia. Per quanto riguarda i drusi, la nostra politica dovrebbe essere quella di aiutarli, ad esempio rifornendoli di armi, ma non sono sicuro che ci sarà un tentativo da parte d’Israele di annettere il Gebel Druso, la zona in cui questi vivono in Siria.
Storicamente, Israele è stato segretamente alleato con i curdi, soprattutto contro l’Iraq e l’Iran. Tuttavia, con l’inclusione delle forze curde nel nuovo governo siriano e la possibile cessazione della lotta armata, come pensa che cambierà questo rapporto?
Innanzitutto, occorre vedere se nel lungo termine gli accordi tra il governo siriano e le forze curde terranno o se invece verranno infranti. L’attuale governo in Siria non è certo composto da gentiluomini inglesi che rispettano i documenti scritti e firmati. La Taqiyya, ossia la regola islamica che autorizza a mentire pur di raggiungere i propri obiettivi, è parte della cultura locale. In ogni caso, noi siamo disponibili a continuare ad avere buone relazioni con la comunità curda, alla quale auguriamo di ottenere una certa autonomia politica. Noi speriamo un giorno di vedere un Medio Oriente in cui le minoranze sono protette e libere di professare liberamente la propria cultura, la propria lingua e la propria religione.