Nei giorni scorsi, mentre alle Nazioni Unite il premier iraniano Mahmoud Ahmadinejad, portava in scena per l’ennesima volta il suo show antisemita, in Marocco, presso l’Università Al-Akhawayn di Ifrane, appena due ore a sud di Rabat, si svolgeva una storica conferenza. Per la prima volta un paese arabo ospitava un seminario di studi dedicato alla memoria (e non alla negazione!) della Shoah – un evento al quale, proprio per la sua portata epocale, ha dedicato spazio e attenzione non solo il quotidiano israeliano Haaretz, ma anche il New York Times.
Artefice dell’iniziativa, Elmehdi Boudra, 24 anni, laureando in scienze politiche e presidente del club Mimouna, un’associazione di studenti musulmani dell’Università Al-Khawayn che ha per scopo la conoscenza della storia e della cultura ebraica in Marocco e il dialogo fra ebrei e musulmani marocchini.
La sensibilità del giovane Boudra per la storia degli ebrei del Marocco, è stata alimentata soprattutto dai racconti della nonna che viveva vicino al quartiere ebraico di Casablanca. La curiosità suscitata da questi racconti ha portato Boudra a studiare insieme a Simon Levy, studioso presso il Museo ebraico di Casablanca, e a leggere classici della letteratura sulla Shoah come “Se questo è un uomo” di Primo Levi e il Diario di Anna Frank.
Assieme a Boudra e al club Mimouna, ha partecipato all’organizzazione dell’evento, Peter Geffen, fondatore nel 1998 del programma di studio “Kivunim” per studenti ebrei dei colleges americani. “Kivunim” ha per scopo principale quello di riallacciare e stabilire relazioni con gli ebrei nel mondo, attraverso i viaggio (“Our travels build Jewish identity within the development of a profound sense of “world-consciousness” both as Jews and as citizens of the world”). E il Marocco è stato uno dei paesi in cui gli studenti del programma si erano recati già in passato. Proprio in occasione di uno di questi viaggi, lo scorso dicembre è avvenuto l’incontro con i giovani di Mimoum e infine l’idea di organizzare il convegno di questi giorni, a cui hanno partecipato sia studiosi, sia sopravvissuti e testimoni della Shoah.
“La straordinarietà di questo evento deriva dal fatto che sono stati gli studenti di Minoum a lanciare l’idea del convegno” ha osservato Geffen in una recente intervista; “la primavera araba non era ancora cominciata e un gruppo di studenti musulmani di 20-21 anni, di una università araba di un paese arabo, ha voluto una conferenza sulla Shoah. Aprire una discussione su questo argomento in un momento in cui sembra diffondorsi l’idea della negazione della Shoah, è un indiscutibile passo in avanti”.
Lo scopo della conferenza è stato duplice: da un lato insegnare cosa è stata la Shoah in Europa, dall’altro rendere omaggio al re Mohammed V, che durante la seconda guerra mondiale resistette agli ordini del governo francese di Vichy di radunare gli ebrei del Marocco e consegnarli per l’internamento e quindi la deportazione.
Forse per l’eredità lasciata dal re Mohammed V, il Marocco è oggi l’unico tra i paesi arabi ad aver accettato la realtà della Shoah, anzichè respingerla o negarla o utilizzarla strumentalmente per accusare l’Europa della creazione dello Stato di Israele.
Lo storico Michael Barembaum ha parlato del genocidio ebraico in Europa e degli ebrei che il re Mohammed V riuscì a tenere in Marocco; Elizabeth Citron ha raccontato la sua esperienza di ebrea in Romania e poi Ungheria, l’obbligo di portare la stella gialla e poi la deportazione ad Auschwitz Birkenau dove ha visto tanta gente essere selezionata ogni giorno per le camere a gas. “non mi aspetto che voi capiate perchè oggi sono qui” ha detto la Citron, “non lo so nemmeno io”.
Andrè Azoulay, consigliere ebreo dell’attuale re del Marocco, Mohammed VI, ha preso la parola alla fine dei lavori: “voi giovani avete deciso di essere qui, voi lo avete voluto, è stata una vostra decisione. Voi studenti musulmani avete deciso di identificarvi con la nostra liberazione; e non è un fatto usuale”.