di Anna Coen
Un’inchiesta condotta da UN Watch, organizzazione non governativa con sede a Ginevra impegnata a monitorare le prestazioni delle Nazioni Unite, ha rivelato uno scenario allarmante che coinvolge direttamente l’UNRWA, l’agenzia che dovrebbe lavorare per il benessere dei palestinesi e di educare i giovani. Si tratta di uno scandalo di grande portata, già emerso mesi fa e ora rilanciato da alcuni media: oltre 3.000 insegnanti finanziati dall’UNRWA, operanti nella Striscia di Gaza, avrebbero utilizzato un canale Telegram per glorificare gli attacchi terroristici di Hamas del 7 ottobre, pochi minuti dopo il suo inizio. I fatti mostrano un sostegno concreto ad atti di estrema brutalità, tra cui stupri e omicidi indiscriminati di civili israeliani, in quella che è stata una giornata di ferocia senza precedenti.
Non si tratta di accuse infondate o di voci diffuse senza prove. La chat Telegram è sommersa da messaggi agghiaccianti: insegnanti che celebrano gli attentatori come «eroi» e glorificano l’uccisione di ostaggi, tra cui un bambino di appena un anno. Privi di scrupoli e di umanità, condividono regolarmente video, foto e messaggi che incitano al terrorismo jihadista. Un comportamento che non solo sconvolge, ma solleva serie domande sulla reale missione dell’UNRWA e sulla sua capacità di mantenere un controllo adeguato sui propri dipendenti. Come è possibile che coloro che dovrebbero educare le nuove generazioni si rivelino promotori di un odio così profondo e radicato?
Il caso di Waseem Ula, come si legge nel rapporto dell’UN Watch, è solo uno dei tanti. Insegnante pagato dall’agenzia, Ula ha pubblicamente chiesto la morte degli israeliani e ha elogiato apertamente il massacro del 7 ottobre. Ha persino condiviso la foto di un giubbotto esplosivo, simile a quelli usati dai kamikaze, accompagnato da un messaggio inquietante: «Aspettate, figli dell’ebraismo». Ula ha poi definito «martire» uno dei responsabili degli attacchi, pregando affinché venga accolto in paradiso senza giudizio. È difficile immaginare una forma più distorta e perversa di educazione.
Un altro insegnante, Abdallah Mehjez, non è stato da meno. Incitava i civili di Gaza a ignorare gli avvertimenti di evacuazione durante gli attacchi aerei israeliani, spingendoli a restare e fungere da scudi umani. Mehjez, un tempo collaboratore della BBC, è ora un protagonista attivo di una narrazione di violenza che si spinge ben oltre la legittima difesa dei diritti del popolo palestinese.
In precedenti rapporti e testimonianze davanti al Congresso degli Stati Uniti e al Bundestag tedesco, UN Watch ha documentato come gli insegnanti dell’UNRWA indottrinano sistematicamente i bambini palestinesi e promuovono il terrorismo e l’antisemitismo.
Ciò che emerge da queste testimonianze è la presenza di un problema reale svolto con metodo e costanza: l’indottrinamento alla violenza. Lungi da educare alla convivenza e alla pace, questi insegnanti sembrano impegnati deliberatamente ad instillare l’odio nelle giovani menti palestinesi. Bambini che dovrebbero crescere con la speranza di un futuro migliore vengono invece esposti a messaggi che glorificano il terrorismo e il martirio. Come può sperare di cambiare il destino di Gaza se le nuove generazioni vengono educate in questo modo?
L’UNRWA si trova ora in una situazione estremamente delicata. L’agenzia, che ha sempre rivendicato il suo ruolo di stabilizzatore sociale nella regione, deve fare i conti con accuse gravissime. Se da una parte la sua presenza è stata importante per fornire istruzione e servizi sanitari ai palestinesi, dall’altra è ormai confermato che vi sono falle profonde nel sistema di controllo interno. L’indagine di UN Watch ha messo in luce non solo l’inadeguatezza dei meccanismi di supervisione, ma anche la presenza di una cultura che sembra incoraggiare la radicalizzazione.
C’è poi un aspetto ancora più profondo e inquietante: l’uso dei fondi internazionali. L’UNRWA è finanziata da numerosi Paesi, molti dei quali occidentali, che sperano di contribuire alla stabilità della regione attraverso il sostegno ai rifugiati. Ma cosa succede quando quei fondi vengono usati, direttamente o indirettamente, per finanziare insegnanti che propagano l’odio? La domanda è legittima e richiede risposte urgenti.
La chiusura del gruppo Telegram, che ora sembra inevitabile, è solo un primo passo. Tuttavia, non basta. La comunità internazionale dovrebbe esigere una maggiore trasparenza e un’azione di controllo da parte dell’ONU e delle sue agenzie. Il problema dell’indottrinamento e della radicalizzazione non può più essere ignorato o minimizzato. I giovani palestinesi meritano un’educazione che li aiuti a costruire un futuro di pace, non a perpetuare un ciclo di violenza senza fine.
Infine, una riflessione. In un contesto già così drammatico e complesso come quello mediorientale, l’educazione dovrebbe rappresentare uno strumento di cambiamento, di riconciliazione. Ma se anche questa viene manipolata per alimentare la guerra, che speranza resta per il futuro? Quello che è emerso da questa indagine è un grido d’allarme, un richiamo a non lasciare che l’odio prenda il sopravvento.
Vedi il rapporto completo di UN Watch