di Ludovica Iacovacci
Nel bel mezzo delle minacce di guerra contro Israele, oggi l’Iran ha eseguito la condanna a morte di Arvin Ghahremani, un cittadino ebreo iraniano accusato di “omicidio intenzionale” nei confronti di un musulmano durante una rissa nel quartiere Ferdowsi nella città di Kermanshah, nell’Iran occidentale.
Arvin Ghahremani aveva 18 anni quando è stato incarcerato nella Prigione Centrale di Kermanshah. Il 4 novembre 2024, è stato giustiziato all’età di 20 anni. Lo riferisce l’Ong Iran Human Rights, che ha sede in Norvegia. Per mesi, la famiglia di Ghahremani ha sostenuto che il diciottenne avesse agito per legittima difesa. Secondo i parenti, quando il musulmano ha attaccato Arvin con un’arma fredda, lui è riuscito a sottrargliela, si è difeso e ha fatto di tutto per salvare la vita dell’uomo dopo averlo ferito, ma alla fine quest’ultimo è morto perché l’assistenza medica ha tardato nel raggiungerlo.
Al processo l’avvocato di Arvin, nominato dal tribunale, non ha difeso efficacemente il suo cliente per ragioni sconosciute e il suo diritto all’autodifesa non è stato adeguatamente presentato nel caso. Anche il suo appello è stato respinto due volte senza seria considerazione e molti eventi importanti che hanno portato all’accoltellamento sono stati ignorati.
Arvin era stato precedentemente trasferito per l’esecuzione a maggio. Il direttore dell’IHR Mahmood Amiry-Moghaddam ha detto che il caso contro Ghahremani presentava “gravi incongruenze”. “Tuttavia, oltre a questo, Arvin era ebreo e l’antisemitismo istituzionalizzato nella Repubblica Islamica ha indubbiamente svolto un ruolo cruciale nell’esecuzione della sua condanna”, ha aggiunto il direttore. “L’Iran Human Rights condanna con la massima fermezza l’esecuzione di Arvin Ghahremani e considera l’esecuzione frettolosa di questo prigioniero ebreo una forma di ritorsione in un periodo di crescenti tensioni con Israele”, si legge sulla pagina ufficiale dell’organizzazione.
Iran Human Rights avverte che la Repubblica Islamica potrebbe trarre vantaggio dal crescente conflitto tra Iran e Israele per aumentare il numero di esecuzioni nei prossimi mesi. L’organizzazione invita la comunità internazionale, i media e la società civile a monitorare attentamente e rispondere a questo allarmante aumento delle esecuzioni. Il direttore Mahmood Amiry-Moghaddam ha affermato: “Mentre l’attenzione del mondo è concentrata sulle tensioni tra Iran e Israele, la Repubblica Islamica sta usando questa opportunità per condurre la più grande ondata di esecuzioni nelle prigioni iraniane in due decenni. La comunità internazionale ed i Paesi con legami diplomatici con l’Iran devono prendere sul serio questo avvertimento e rispondere con decisione per impedire ulteriori atrocità da parte della Repubblica Islamica”.
Il codice penale iraniano si basa sull’interpretazione sciita del Corano e per i reati di sangue tra le numerose forme di punizione della giurisprudenza penale islamica tradizionale c’è il “quisas”, un termine interpretato come “contrappasso” o “ritorsione in natura”, ovvero il concetto alla base della legge del taglione, l’occhio per occhio (inteso in senso letterale e diverso dal significato originario ebraico che si focalizza sulla natura risarcitoria e non vendicativa della locuzione).
Un’altra forma di riparazione per è la “diya”, ovvero il pagamento del prezzo del sangue. Una volta che un imputato è stato condannato per omicidio, la famiglia della vittima è tenuta a scegliere tra la morte del colpevole (quisas), il prezzo del suo sangue (diya) o la concessione del perdono (afw). Sebbene ogni anno la magistratura iraniana stabilisca un importo indicativo, non c’è alcun limite legale di quanto può essere richiesto dalle famiglie delle vittime. L’organizzazione Iran Human Rights ha registrato molti casi in cui gli imputati vengono giustiziati perché non possono permettersi di pagare il prezzo del sangue. Nel caso di Arvin Ghahremani, una fonte informata ha detto a IHRNGO: “La religione di Arvin è stata inizialmente citata nel caso come musulmano sciita e la famiglia della vittima ha acconsentito di accettare la diya (il pagamento del prezzo del sangue) ma poi la famiglia ha cambiato idea e ha insistito per la sua esecuzione quando ha scoperto che Arvin era ebreo”.