di Paolo Castellano
Fatou Bensouda, giurista gambiana e Procuratore capo della Corte penale internazionale (CPI), vuole indagare su Israele per crimini di guerra in Giudea, Samaria, Gerusalemme Est e Striscia di Gaza. Per l’organo internazionale la “Palestina” è infatti un’entità statale e dunque sotto la giurisdizione della CPI. Tre giudici della Divisione preliminare saranno la giuria che dovrà decidere se confermare o rigettare la richiesta della Bensouda.
Per essere sotto la giurisdizione della CPI bisogna aver firmato lo Statuto di Roma che è stato stipulato il 17 luglio del 1998. Israele non ha mai firmato il regolamento e quindi non fa parte della CPI che ha sede all’Aia nei Paesi Bassi. L’Autorità Palestinese fa invece parte del tribunale per i crimini internazionali pur non essendo uno stato membro delle Nazioni Unite. La CPI non è un organo dell’ONU è non va identificata con la Corte internazionale di giustizia, anch’essa con sede all’Aia.
Il 30 aprile, il Procuratore capo Bensouda ha quindi prodotto un documento di 60 pagine in cui afferma che la CPI può esercitare la propria giurisdizione nel territorio che comprende la Cisgiordania, incluse Gaza e Gerusalemme Est.
Circa altri 50 fascicoli a favore e a sfavore dello Stato ebraico sono stati archiviati in passato. Le nazioni che hanno appoggiato le ragioni di Israele sono state Repubblica Ceca, Austria, Germania, Australia, Ungheria, Brasile e Uganda. Lo riporta Israel National News.
L’Assemblea degli Stati Parte supervisiona la CPI ed è l’organo legislativo dell’organizzazione intenzionale che ha riconosciuto la “Palestina” come stato sovrano.
La ONG Monitor, un’associazione pro-Israele, ha criticato la decisione di Bensouda, sostenendo che il Procuratore capo stia ignorando completamente il fatto che la Corte non sia competente in materia. «Da una parte fa affidamento su affermazioni infondate prodotte da associazioni pro-BDS e legate al terrorismo, dall’altra segue la retorica per nulla indipendente di una parte degli organi dell’ONU, come il Consiglio dei diritti umani», si legge in una dichiarazione dell’associazione Monitor.