di Nathan Greppi
Sebbene oggi possa sembrare difficile da credere, data la vicinanza del governo di Ankara a Hamas, c’è stato un tempo in cui la Turchia era uno dei principali alleati di Israele nel mondo islamico. Un rapporto che ha iniziato ad incrinarsi in maniera graduale ma costante con l’ascesa di Erdogan, in seguito alla quale la laicità e i valori occidentali, imposti a suo tempo dal fondatore della Repubblica turca Mustafa Kemal Atatürk, sono stati gradualmente soppiantati da un nazionalismo di matrice religiosa. Un fenomeno che, sotto diversi aspetti, ricorda l’involuzione dei rapporti tra Israele e l’Iran, quest’ultimo alleato dello Stato Ebraico ai tempi dello Scià, e divenuto suo nemico giurato dopo la rivoluzione islamica di Khomeini.
Chi conosce bene la Turchia, avendoci vissuto stabilmente per otto anni dal 2005 al 2013 e poi di nuovo in altri periodi, è la giornalista Marta Ottaviani: per anni corrispondente da Istanbul per i quotidiani Avvenire e La Stampa, oggi si occupa di Medio Oriente e Russia anche per il Quotidiano Nazionale. Ha pubblicato quattro libri, di cui tre dedicati alla storia e alla politica turca.
Un tempo Ankara e Gerusalemme erano alleate. Come è iniziato l’allontanamento?
Molti generalmente datano l’allontanamento con l’inizio dell’Operazione Piombo Fuso, nel 2008. Io penso che i primi segnali ci siano già stati nel 2006, quando Erdogan utilizzò per la prima volta la Moschea di Al-Aqsa e alcuni lavori di riqualificazione nella zona per montare una polemica pretestuosa.
Quando vivevi in Turchia, com’era la situazione dell’antisemitismo nel paese? E cosa è cambiato nel frattempo?
Devo dire che in Turchia ho sempre avvertito un certo atteggiamento critico nei confronti di Israele. Ma molti non esageravano perché, sulla carta, Turchia e Israele erano alleate. Un retaggio che proveniva dai tempi dei governi militari. Ma c’è da dire che anche a quel tempo, dietro la facciata dell’amicizia, c’era un forte pregiudizio nei confronti di Israele. Da quando Erdogan ha preso il potere, nel 2003, l’antisionismo ha preso progressivamente il sopravvento, sfociando spesso e volentieri nell’antisemitismo. Lo sdoganamento finale è arrivato in occasione dell’incidente della Mavi Marmara, nel 2010.
La Turchia è allo stesso tempo membro della NATO e vicina a Russia e Iran sulla guerra in corso. Come si spiega questa contraddizione?
Si spiega con il fatto che con la presa del potere da parte di Erdogan, quest’ultimo ha cambiato profondamente il suo Paese, facendo uscire in superficie una Turchia islamica, antioccidentale e antisemita che in realtà è sempre esistita. Lui gli ha semplicemente dato voce e forza. La permanenza nella NATO è un problema. Ma non dimentichiamo che se Erdogan è diventato quello che è oggi, il merito è anche di un Occidente che per troppo tempo ha chiuso, e in parte chiude ancora, gli occhi davanti ai suoi eccessi.
L’insistere di Erdogan su temi identitari è motivato anche dal desiderio di distrarre l’opinione pubblica turca dai problemi interni?
In parte sì, soprattutto da quelli economici. Ma sottovalutare la componente ideologica sarebbe un grosso errore. Non dimentichiamoci da dove viene e a chi è legato oggi.
Nelle scorse elezioni, Erdogan ha perso nelle grandi città costiere ma ha vinto nelle campagne e in Anatolia. Credi che il suo dominio durerà ancora a lungo, o c’è la possibilità che un giorno tornino al potere i laici?
Erdogan governerà a lungo. E purtroppo, anche i cosiddetti laici, espressione che per me è corretta solo fino a un certo punto, sono molto diversi da quelli di un tempo. La verità è che sta portando tutti, chi più e chi meno, al suo stesso piano. Soprattutto gli elettori. Del 52% che ha votato Erdogan alle elezioni presidenziali del 2023, buona parte crede nel suo disegno, ed è pronto a votarlo di nuovo anche se l’economia dovesse peggiorare.