di Michael Soncin
Il motivo principale della riuscita liberazione della giovane ragazza israeliana entrata verso i primi di febbraio nel territorio siriano ed in seguito arrestata, riguarderebbe l’acquisto da parte di Israele a favore della Siria di 200.000 dosi del vaccino russo Sputnik V contro il Covid-19.
Come riporta La Stampa, la ventenne che viveva nell’insediamento ultraortodosso di Modi’in Illit, si era innamorata di un siriano conosciuto sul web e voleva andare da lui; un tale innamoramento da portarla a tagliare i rapporti con la sua famiglia e la comunità: “Convinta pacifista, voleva fare un gesto umanitario, oltre a raggiungere il suo amore, ed è riuscita a eludere i controlli e a entrare in Siria nella zona del Monte Hermon, poco sorvegliata”.
Si pensa che possa essere stato un tranello poiché dopo essere uscita dal confine israeliano, è stata immediatamente intercettata dai militari siriani nel villaggio di Hader. Avevano compreso di non avere davanti a se una spia, ma al contempo si erano resi conto che poteva essere utilizzata come possibile valore di scambio.
In seguito è iniziata una trattativa mediata con la Russia, sostenitrice di Assad, in rapporti con il premier Benjamin Netanyahu, concludendosi con la liberazione della ragazza, tornata a casa in Israele, via Mosca, attraverso un jet privato. In passato Putin era già intervenuto a favore di Israele, come durante la mediazione riguardante la restituzione dei resti del corpo di Eli Cohen, l’agente segreto più famoso del Mossad, ucciso in Siria il 18 maggio del 1965. Una restituzione non ancora giunta al termine.
“I siriani – si legge da La Stampa – volevano il rilascio anche di un palestinese legato ad Hezbollah, Diab Kahamuz, 34 anni, accusato di un fallito attentato e di un druso del Golan con cittadinanza siriana. Ufficialmente sono stati rilasciati due ‘pastori’, arrestati perché avevano oltrepassato il confine per andare a cercare i loro animali, ma fonti palestinesi sostengono che in realtà uno dei due è Kahamuz”.
Quanto al vaccino, le duecentomila dosi da consegnare a Damasco in cambio della giovane cittadina israeliana sarebbero costate allo Stato Ebraico 1,2 milioni di dollari. Una notizia che a quanto pare il premier israeliano attualmente in campagna elettorale avrebbe preferito che non uscisse, anche se lui afferma, come riporta il Corriere della Sera, che “è stata Mosca a chiedere di non divulgarla”.