di Ilaria Ester Ramazzotti
“Gli stati Uniti sono stati il ‘solido migliore amico’ di Israele”. Lo ha detto il segretario di Stato americano John Kerry in un’intervista alla CNN lo scorso 16 gennaio, difendendo l’operato del presidente uscente Barack Obama compiuto nell’ambito della mediazione fra israeliani e palestinesi. Kerry ha difeso altresì l’astensione degli Stati Uniti durante la votazione alle Nazioni Unite che il 23 dicembre 2016 ha sancito la condanna a nuovi insediamenti di Israele in Cisgiordania e Gerusalemme Est, definendoli in seguito una minaccia per le prospettive di pace.
Secondo Kerry, come riporta i24 News del 17 gennaio, la presidenza di Obama avrebbe fatto di più per Israele rispetto a ogni altra, sottolineando il coinvolgimento di Washington nello sviluppo e nel finanziamento dei programmi missilistici e di difesa militare di Israele. Tuttavia, secondo Kerry, i rispettivi leader dello Stato ebraico e dell’Autorità palestinese Benjamin Netanyahu e Abu Mazen non sarebbero riusciti a raggiungere alcun accordo. “Si può portare un cavallo all’acqua, ma non puoi costringerlo a bere”, ha continuato citando un vecchio detto. Questa riluttanza a negoziare, ha aggiunto il segretario di Stato degli Stati Uniti, avrebbe portato l’amministrazione Obama a rinunciare al proprio diritto di veto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite il mese scorso, lasciando approvare una storica risoluzione che condanna Israele per le sue attività di insediamento nei Territori e facendo infuriare il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che ha a sua volta accusato Obama di aver abbandonato il suo alleato, Israele, e di aver orchestrato il provvedimento dietro le quinte.
“Noi, alle Nazioni Unite, abbiamo preso la decisione che abbiamo fatto perché crediamo che Israele abbia una scelta migliore e che i palestinesi abbiano una scelta migliore. La scelta che abbiamo messo di fronte a Israele è : ‘Se vuoi essere uno Stato ebraico e se desideri essere una democrazia, non puoi essere uno Stato unitario, [unico n.d.r]’, mentre in questo momento sta marciando lungo questa strada a causa dell’aumento delle colonie e a causa dell’assenza di una trattativa legittima verso questa possibilità”, ha sottolineato. “Noi parliamo con cura e con preoccupazione per Israele quale Stato democratico ed ebraico, e anche con preoccupazione per i palestinesi, che non saranno mai in grado di soddisfare le loro aspirazioni senza la capacità di creare” a loro volta “uno Stato”.
Nel frattempo, il presidente eletto Donald Trump, che entrerà in carica il prossimo 20 gennaio, ha detto che cambierà rotta rispetto all’amministrazione Obama sulle questioni che riguardano il conflitto israelo-palestinese. Trump, che non crede che gli insediamenti israeliani siano un ostacolo alla pace, ha infatti promesso di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele e di riposizionare nella città l’ambasciata degli Stati Uniti. In merito a possibili negoziati di pace e attività di mediazione, ha inoltre incaricato il genero Jared Kushner di trovare una possibile via di negoziazione, conclude i24 News.