di David Fiorentini
“Free Palestine”, “Israel is a terrorist state” e infine l’ultimo slogan “All eyes on Gaza”. Potrebbe sembrare il solito feed di una delle migliaia di pagine pro-Palestina che hanno sommerso il web negli ultimi 14 mesi, se non fosse il profilo ufficiale su X della casa automobilistica americana Ford.
Probabilmente il risultato di un hackeraggio, i messaggi sono stati presto cancellati con tanto di comunicato di scuse.
“Il nostro account su X è stato brevemente compromesso e i tre post precedenti non sono stati autorizzati né pubblicati da Ford”, ha dichiarato l’azienda. “Stiamo indagando sull’accaduto e ci scusiamo per qualsiasi confusione causata.”
Al di là del tempismo scottante, la vicenda ha ricevuto una particolare risonanza sia per il fatto che la sede centrale di Ford si trovi a Detroit, un’area densamente arabo-americana, in cui il sostegno alla causa palestinese è particolarmente forte, sia per il passato controverso del fondatore della compagnia Henry Ford.
Nella fattispecie, le accuse di antisemitismo nei suoi confronti includono la diffusione del famigerato falso storico dei “Protocolli dei Savi di Sion” attraverso un giornale di sua proprietà.
Una spiacevole sovrapposizione, che a distanza di decenni, ha rapidamente fatto il giro dell’internet, sollevando nuovamente interrogativi sulle vulnerabilità della comunicazione digitale delle grandi corporation.
(Foto: Tony Webster. Wikimedia Commons)