La linea rossa

Mondo

di Luciano Assin

Poco importa se a usare le armi chimiche in Siria siano state le forze fedeli ad Assad o i ribelli. Il numero impressionante delle vittime, l’uso indiscriminato di quest’arma così letale e disumana e l’impotenza del mondo occidentale e di quello arabo sono i segnali più preoccupanti di come le regole del gioco sia etiche che morali siano totalmente cambiate. La linea rossa, quel limite invalicabile oltre il quale Obama, esattamente un anno fa, aveva annunciato l’intervento delle forze occidentali nello scacchiere siriano si è spostata ulteriormente, e l’uso di armi chimiche nei confronti della popolazione civile non è più un tabù.

La ritrosia di Obama ad impantanarsi in una nuova avventura militare è più che giustificata ed ha anche delle buone motivazioni, ma le contraddizioni in cui è caduto più di una volta su gli ultimi avvenimenti accaduti in Siria ed in Egitto la dice lunga sulle reali capacità della sua amministrazione di interpretare correttamente la realtà medio orientale.

La realtà è che gli Stati Uniti, per forza o per necessità, non vogliono o non sono più in grado di continuare a giocare il ruolo di sceriffo planetario e di risolvere tutti i conflitti del globo.
La guerra in Iraq prima e quella in Afganistan ancora in corso non hanno fatto che ledere la credibilità internazionale del paese e diminuire notevolmente la sua forza deterrente. Gli USA continuano ad essere la più grande superpotenza a livello mondiale, ma la recessione economica ed i costi stratosferici delle operazioni militari cominciano a pesare più del dovuto sulle finanze statali.
Nel medio termine lo scacchiere del vicino oriente perderà sempre più importanza agli occhi degli americani: si calcola che entro cinque anni gli Stati Uniti raggiungeranno l’indipendenza energetica e non dipenderanno più dal petrolio dei Paesi arabi, un dato che deve far pensare Israele e portarla ad agire verso degli accordi stabili e duraturi con le forze moderate della regione.

Attualmente il mondo arabo è entrato in un vortice estremamente violento che di fatto è diventato una guerra religiosa fra sunniti e sciiti, due fazioni che sono da sempre in aperto contrasto. In queste occasioni Israele non ha altra scelta che stare a guardare, e Netanyau per il momento è riuscito a mettere in riga i suoi ministri affinché non se ne escano con dichiarazioni militanti e controproducenti. Ma nonostante i Paesi limitrofi non siano proprio dei gran simpaticoni e paradossalmente siamo arrivati al punto di rimpiangere i bei regimi dittatoriali di una volta, Israele non ha molta scelta se non quella di imboccare la strada di un compromesso territoriale coi palestinesi sotto l’egida statunitense. È una priorità strategica di importanza assoluta.