di Leone Finzi
La conoscenza reciproca, il dialogo fra le culture, si dice spesso, sono gli unici mezzi in grado di contrastare e forse sconfiggere ostilità, luoghi comuni, pregiudizi. E’ in quest’ottica che il Projet Aladdin di Parigi – insieme all’UNESCO, al Ministero degli Esteri francese, alla Claims Conference di New York e ad altri enti impegnati per la memoria della Shoah – ha promosso e realizzato una delle iniziative forse più interessanti di questi ultimi tempi: la sottotitolatura in lingua farsi, araba e turca, del monumentale film di Claude Lanzmann, “Shoah”, uscito in Francia nel 1985.
Da 7 marzo e per due settimane, su alcuni canali satellitari iraniani si possono vedere in puntate da 50 minuti, le oltre nove ore di immagini, interviste, storie raccontate da sopravvissuti e testimoni dei campi di sterminio, girate da Lanzmann fra il 1974 e i primi anni ’80. Presto saranno trasmesse anche sui canali arabi e turchi.
L’idea che sta dietro questa operazione e che vede coinvolti così importanti e numerosi organismi francesi e internazionali, è quella di far conoscere attraverso un mezzo immediato e potente come il cinema, la tragica parte della storia del Novecento ebraico ed europeo di cui i popoli arabi non hanno avuto esperienza diretta e che l’iraniano Ahmadinejad nega pubblicamente (nel 2009 definì la Shoah “una menzogna basata su affermazioni indimostrate e mitiche”).
Le dinamiche della diffusione e trasmissione di questa conoscenza, sono in fondo le stesse di cui da settimane sentiamo continuamente parlare: aggirare i canali ufficiali dei regimi, attraverso internet, blogs, facebook e social networks vari. Come grazie anche al “popolo di facebook” si è potuto assistere alla cosiddetta “primavera dei popoli arabi”, alla ribellione dei giovani ad anni di regimi autoritari, così ora ci si augura che grazie ad operazioni come quella di Projet Aladin penetri nel mondo arabo non l’idea della ribellione ma quella di un’altra versione della storia, diversa da quella delle TV di Stato, dei giornali ufficiali, dei manuali scolastici, delle dichiarazioni di certi capi di Stato.
“Il nostro scopo ha dichiarato Anne Marie Revcolevschi, presidente di Projet Aladin, è quello di sopperire alla mancanza completa di informazioni nel momento in cui la Shoah viene negata”.
A nostro avviso tuttavia c’è uno scopo ulteriore da raggiungere con operazioni come queste, meno immediato forse, ma allo stesso modo importante se si considerano le cose in una prospettiva generale e di lungo periodo: e cioè diffondere l’idea che ci possono essere più versioni di una storia. L’operazione “Shoah” deve essere intesa non solo o non tanto come “rivelazione” (per i popoli arabi) rispetto alle affermazioni negazioniste di Ahmadinejad, ma anche come generale momento educativo alla pluralità delle idee e delle opinioni e alla possibilità stessa di esprimere quelle idee e opinioni. La trasmissione di Shoah sui canali iraniani è l’occasione per instillare fra la gente il germe del dubbio rispetto alle “certezze” e alle “verità” imposte dalla propaganda di regime.