La stella e la croce. L’antisemitismo in Svizzera dopo il 7 ottobre

Mondo

di Nathan Greppi
Nonostante venga spesso percepito nell’immaginario collettivo come un paese neutrale che non prende posizione nei conflitti internazionali, anche in Svizzera dopo il 7 ottobre si è assistito ad un crescente odio nei confronti degli ebrei e di Israele. Un odio che in taluni casi si è tradotto in atti violenti, come dimostrano i fatti di inizio marzo, quando un cinquantenne ebreo ortodosso è stato accoltellato da un adolescente a Zurigo. Mentre a febbraio, un negozio di sci a Davos si è rifiutato di noleggiare i propri equipaggiamenti sportivi ai turisti ebrei.

Nello stesso paese che nel 1897 ospitò a Basilea il primo Congresso Sionista, e che oggi conta una popolazione ebraica di poco più di 18.000 persone, nel 2023 gli episodi di antisemitismo avvenuti al di fuori di internet erano triplicati rispetto all’anno precedente: 155 in totale, dei quali 114 verificatisi dopo il 7 ottobre, contro solo 57 episodi avvenuti in tutto il 2022.

La situazione generale

Se da un lato prima del 7 ottobre gli episodi di antisemitismo erano rari, dall’altro lato “esiste un antisemitismo latente che oggi si esprime in una posizione drastica contro Israele, attuando una sovrapposizione che fa confusione tra religione e Stato”, spiega a Mosaico Micaela Goren Monti, presidente della Goren Monti Ferrari Foundation con sede a Lugano. “Purtroppo anche in Canton Ticino, come nel resto del mondo, si dimenticano le uccisioni, gli stupri e i massacri compiuti da Hamas e non si tiene in debita considerazione la necessità di Israele di difendersi e prevenire nuovi massacri, che senza l’annientamento di Hamas si ripeterebbero”.

Prima del massacro compiuto da Hamas e il successivo scoppio della guerra a Gaza, la Svizzera era “quasi un paradiso, dove non avevamo molti incidenti”, racconta Jonathan Kreutner, segretario generale della FSCI (Federazione svizzera delle comunità israelite). “Dopo il 7 ottobre, c’è stata un’esplosione di episodi di antisemitismo, comprese le aggressioni fisiche che non avevamo mai subito in una tale quantità. Se un tempo era un paese pacifico, oggi niente è più come prima”.

Quando si tratta di garantire la sicurezza delle comunità ebraiche svizzere, spiega Kreutner, “per molto tempo le autorità non hanno fatto nulla. Abbiamo lottato per anni affinché ci aiutassero con la sicurezza. Oggi non vi è luogo ebraico in Svizzera che non sia attentamente sorvegliato, ma è un traguardo che abbiamo raggiunto solo dopo un lungo percorso”.

La narrazione mediatica

Giuseppe Giannotti

Per quanto riguarda l’operato dei media svizzeri, “si nota una descrizione del conflitto in corso spesso vicino alla causa palestinese”, ci spiega Giuseppe Giannotti, portavoce dell’Associazione Svizzera-Israele (Sezione Ticino).

“I media spesso prendono per buono quello che dice Hamas, soprattutto per quanto riguarda il numero di vittime palestinesi, che persino l’ONU ha recentemente dimezzato. Parlano delle sofferenze dei palestinesi, ad esempio, e non di quelle dei cittadini israeliani, costretti sia al Sud che al Nord di Israele, a lasciare le proprie abitazioni che continuano ad essere sotto il fuoco di Hamas al Sud e di Hezbollah al Nord. E quasi mai si ricorda che ci sono ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas”.

Aggiunge che “spesso si dice che la Svizzera sia uno Stato neutrale; in realtà non lo è affatto, ma riflette un sentimento diffuso in quasi tutti i Paesi. In particolare, anche in Svizzera, quando si svolgono manifestazioni o proteste pubbliche, vediamo sventolare bandiere palestinesi, che nulla hanno a che fare con il tema della protesta. Queste continue manifestazioni servono comunque ad alimentare il luogo comune secondo il quale i palestinesi sono vittime e gli israeliani aggressori. Anche a me, che sono ebreo, a volte mi capita di incontrare persone qui in Svizzera che mi dicono ‘voi a Gaza state facendo…’, al che io gli rispondo: voi chi? Io sono italiano. E allora specificano ‘voi ebrei’. Identificano tutti gli ebrei con Israele”.

I boicottaggi accademici e artistici

Nemo, il cantante svizzero che ha vinto l’Eurovision Song Contest 2024, a marzo era tra nove partecipanti alla gara che avevano firmato un appello per chiedere un cessate il fuoco a Gaza. E a Zurigo, durante l’Art Weekend tenutosi dal 7 al 9 giugno, graffiti antisionisti sono stati trovati davanti alla Galleria d’arte Bernheim e al Cabaret Voltaire, noto per essere il locale dove è nata la corrente artistica del dadaismo.

Sebbene oggi gli appelli al boicottaggio d’Israele negli atenei svizzeri siano più forti di quanto non siano mai stati in precedenza, secondo Kreutner “finora hanno ottenuto pochi risultati concreti”. Giannotti invece spiega che “qui a Lugano, ci sono state proteste degli studenti all’Università della Svizzera Italiana, anche se poi è emerso che molti non erano studenti ma infiltrati. Con loro c’era anche l’ex-rettore, Boas Erez (di origini ebraiche ma convertitosi al cattolicesimo), notoriamente di sinistra e che si adegua alle mode in maniera superficiale. Se vai a chiedere a questi studenti cosa sanno davvero di Israele, scopri che non sanno niente, ma sventolano la bandiera palestinese per seguire una moda”.

A tal proposito, la Goren Monti ci tiene a specificare che la “manifestazione di fronte all’USI, che io immagino sia stata organizzata da elementi esterni all’università stessa, è stata un ‘seguire l’onda’ poco sentito dalla maggioranza degli studenti”.