di Emanuele Calò
Il processo a Israele di fronte alla Corte internazionale dell’Aia, promosso dal Sud Africa, è pretestuoso e infondato. Ma quali
sono i termini giuridici in cui si è articolato? Quali le accuse e le conclusioni? E perché il contesto è falsato da pregiudizi e omissioni? La parola al giurista E. Calò: per comprendere i fatti
Se si cercano notizie sul famigerato 7 ottobre 2023, troviamo che “Il comandante in capo della Falange, Muhammad al-Deif, ha annunciato l’inizio dell’operazione in risposta alle violazioni israeliane nei cortili della Beata Moschea di Al-Aqsa e l’assalto dei coloni israeliani ai cittadini palestinesi di Gerusalemme, Cisgiordania e l’interno occupato”. Come dire che non troviamo nulla, né sulle cause né sugli esiti della cosiddetta Al-Aqsa Flood Operation.
Un intervento nell’organo di West Point, di ben altro spessore nega ogni base giuridica all’azione di Hamas, sia per lo jus ad bellum (diritto alla guerra, all’uso della forza) che per lo jus in bello (diritto nella guerra, diritto umanitario). Si consideri che Hamas non è uno Stato, ma una banda armata, anche ai sensi del Regolamento di esecuzione (UE) 2023/420 del Consiglio del 24 febbraio 2023 che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001 relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone e entità, destinate a combattere il terrorismo, e che abroga il regolamento di esecuzione (UE) 2022/1230. Infine, Gaza non è un territorio occupato da Israele, altrimenti sarebbe incomprensibile come in un territorio occupato si possa costruire una Gaza sotterranea ricca di almeno 600 km di tunnel, larghi abbastanza da poter far scorrere dei veicoli militari.
Allo stato, soltanto Israele era ignara di siffatta ragnatela di infrastrutture, che non possono essere costruite senza che siano visibili a occhio nudo. Per accorgersene, bisognerebbe occupare il territorio. Inoltre, certe pseudo acquisizioni su “Gaza prigione a cielo aperto” negano perfino l’evidenza di una frontiera con l’Egitto, un dato sufficiente per affermare che non possano esistere prigioni con una frontiera aperta. Da soggiungere che sovente Hamas ebbe ad accusare l’Egitto di aver immesso del gas nei tunnel, senza che alcun tribunale internazionale ne fosse investito. In questo quadro, mancherebbe un dato fondamentale, costituito dal fitto lancio di razzi Qassam da Gaza, che dura da oltre un ventennio, senza che potesse essere interrotto non per mancanza di mezzi bellici, bensì per via dell’orientamento dell’opinione pubblica mondiale, dovuto alla demonizzazione di Israele da parte dei mass media.
Come sappiamo, il Sudafrica ha investito la Corte Internazionale di Giustizia della sua accusa di genocidio; due caveat: a) la Corte è emanazione dell’ONU, che è abbondantemente formata (anche) da dittature, b) ne consegue che i giudici non sono necessariamente obiettivi.
L’accusa di genocidio che ha sollevato il Sudafrica discende dalla relativa Convenzione, la quale dispone, all’art. II: “Nella presente Convenzione, per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale: a) uccisione di membri del gruppo; b) lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo; c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale; d) misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo; e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro”.
È vero che in tribunale si può inventare tutto, e che deve ancora venire una norma che imponga il pudore, ma sostenere che Israele voglia eliminare gli arabi, essendo il solo Stato binazionale del Medio Oriente, mentre è Hamas ad avere lo scopo statutario di far fuori gli ebrei, è un po’ come sostenere che Gesù fosse palestinese ma, siccome gli antisemiti sono dotati di una scarsa predisposizione per la fatica, controbilanciata da una innegabile vocazione per il pensiero creativo, nulla è loro precluso.
Ostaggi
Il 7 ottobre 2023, Hamas ha preso in ostaggio 240 persone, ebrei e islamici, israeliani e stranieri, uomini e donne, bebè, giovani, persone di mezz’età e anziani, sani e infermi: un lungo catalogo della barbarie. La quarta Convenzione di Ginevra così dispone: articolo 34: “The taking of hostages is prohibited”. Non necessita di traduzione. L’art. 8 dello Statuto della Corte Penale Internazionale prevede, fra i crimini di guerra, la presa di ostaggi. Per elencare tutte le norme violate da Hamas, compreso il divieto di mutilazioni, di stupri e così via, non basterebbe una monografia, così come non basterebbe una monografia per spiegare come nel caso di Israele, la legittima difesa diviene, con un tocco di realismo magico che avrebbe fatto l’invidia di Gabriel García Márquez, un ectoplasma destinato a svanire celermente nel nulla.
Non è una novità assoluta. Gli ebrei di Livorno, per esempio, accantonavano delle somme per liberare i correligionari prigionieri dei pirati arabi. Nell’Enciclopedia Britannica del 1911 si asserisce che “le comunità di pirati che vivevano di saccheggio e non potevano vivere di nessun’altra risorsa, scomparvero con la conquista francese di Algeri nel 1830”; non viene detto, però, che furono uccisi quasi un milione di algerini. Di recente, la presa di ostaggi ebrei si ritrova a Monaco, nel 1972 e ad Entebbe, nel 1976.
Purtroppo, e palesemente, sarebbe davvero superficiale non tener conto della possibilità di uno scambio fra vittima e aggressore. Non risulta che simili azioni siano mai state oggetto di una tale forzatura, e qui non si tratta di difendere o meno Israele, ma di indirizzare la ricerca verso un ambito più appropriato, che riguarda la spinta dello Stato ebraico, tramite anche un previo assedio mediatico, verso una strada senza uscita, senza opzioni, senza nulla altro che l’autodistruzione.
La Corte
Sul sito della Corte Internazionale di Giustizia si legge: “nella sua ordinanza, che ha carattere obbligatorio, la Corte indica le misure seguenti: 1) Per quindici voti contro due, lo Stato d’Israele deve (..) assumere tutte le misure in suo potere per prevenire la commissione nei riguardi dei palestinesi di Gaza, di ogni atto rientrante nel capitolo due della Convenzione (sul genocidio) e in particolare, gli atti seguenti: a) morte dei membri del gruppo ; b) attentato grave all’integrità fisica o mentale dei membri del gruppo; – 2 – c) sottoposizione intenzionale del gruppo a condizioni di esistenza che comportino la sua distruzione fisica totale o parziale; e d) misure miranti a ostacolare le nascite nel gruppo; 2) Per quindici voti contro due, lo Stato d’Israele deve curare che le sue forze armate con effetto immediato, non commettano alcuno degli atti di cui al punto precedente, 3) Per sedici voti contro uno, lo Stato d’Israele deve assumere tutte le misure in suo potere per prevenire e punire l’incitamento diretto e pubblico a commettere genocidio nei riguardi dei palestinesi di Gaza 4) Per sedici voti contro uno, lo Stato d’Israele deve assumere senza indugio delle urgenti misure efficaci per consentire la fornitura dei servizi di base e di ausilio umanitario per rimediare alle difficili condizioni di esistenza cui sono sottoposti i palestinesi di Gaza 5) Per quindici voti contro uno, lo Stato d’Israele deve assumere misure efficaci per impedire la distruzione e assicurare la conservazione degli elementi di prova relativi agli atti addotti rientranti nell’ambito degli articoli II e III della convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio commesso contro i palestinesi di Gaza 6) Per quindici voti contro due, lo Stato d’Israele deve sottoporre alla Corte un rapporto sull’insieme delle misure che assumerà per attuare quest’ordinanza entro un termine di un mese dalla data di quest’ordinanza”.
L’opinione dissenziente della giudice ugandese Julia Sebutinde, dalla quale il suo governo si è dissociato, sostiene che il Sud Africa non ha dimostrato, nemmeno prima facie, che tali atti presumibilmente commessi da Israele e di cui il ricorrente si lamenta, siano stati commessi con il necessario intento genocida e che, di conseguenza, possano rientrare nell’ambito di applicazione della Convenzione sul genocidio. Allo stesso modo, poiché gli atti presumibilmente commessi da Israele non sono stati accompagnati da un intento genocida, il ricorrente non ha dimostrato l’esistenza dei diritti da esso rivendicati e per le quali si chiede tutela attraverso l’indicazione di misure provvisorie che sono plausibili ai sensi dell’art Convenzione sul genocidio. La giudice Sebutinde asserisce che l’applicazione della Convenzione sul genocidio è una forzatura e che il conflitto arabo – israeliano, essendo di natura politica, può essere affrontato esclusivamente sul piano diplomatico.
Vi è anche un’opinione dissenziente del giudice Barak, il quale rileva che non essendo coinvolto Hamas nelle procedure, non gli si può chiedere oppure ordinare alcunché, soggiungendo che “È preoccupante che l’applicazione della Convenzione sul genocidio in queste circostanze possa minare l’integrità della Convenzione e diluire il concetto di genocidio. La Convenzione mira a prevenire e punire la distruzione fisica di un gruppo in quanto tale. Non è inteso a vietare del tutto i conflitti armati. L’approccio della Corte apre la porta agli Stati per un uso improprio della Convenzione sul genocidio al fine di limitare il diritto all’autodifesa, in particolare nel contesto di attacchi commessi da gruppi terroristici”.
La preoccupazione di Barak è infondata: simili sconcezze si applicano soltanto agli ebrei. Chi venisse da un altro pianeta, e leggesse gli atti, penserebbe che Hamas e quella parte della popolazione che lo sostiene, facciano parte delle Dame di San Vincenzo, anziché essere degli assassini come il mondo poche volte ha visto.
Il comune denominatore dello status d’Israele è costituito dalla mancanza di opzioni: se non agisce, rischia l’annientamento, se agisce, diventa uno Stato paria. Una situazione speculare a quella dell’ebreo errante, dove qualsiasi cosa facesse, sia che si integrasse sia che non si integrasse, si risolveva a suo scapito.
Conclusioni
Lo Statuto di Roma vieta “lanciare intenzionalmente attacchi nella consapevolezza che gli stessi avranno come conseguenza la perdita di vite umane tra la popolazione civile, lesioni a civili o danni a proprietà civili ovvero danni diffusi, duraturi e gravi all’ambiente naturale che siano manifestamente eccessivi rispetto all’insieme dei concreti e diretti vantaggi militari previsti”; mentre il Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 relativo alla protezione delle vittime dei conflitti armati internazionali (Protocollo I) dispone “5. Saranno considerati indiscriminati, fra gli altri, i seguenti tipi di attacchi: a) gli attacchi mediante bombardamento, quali che siano i metodi e i mezzi impiegati, che trattino come obiettivo militare unico un certo numero di obiettivi militari chiaramente distanziati e distinti, situati in una città, un paese, un villaggio o in qualsiasi altra zona che contenga una concentrazione analoga di persone civili o di beni di carattere civile; b) gli attacchi dai quali ci si può attendere che provochino incidentalmente morti e feriti fra la popolazione civile, danni ai beni di carattere civile, o una combinazione di perdite umane e di danni, che risulterebbero eccessivi rispetto al vantaggio militare concreto e diretto previsto”.
Ne consegue che le vittime civili sono contemplate dal diritto internazionale; chi non le volesse ha una soluzione assai semplice per scongiurarle: evitare di fare la guerra.
Nel nostro caso, la Corte impone a Israele di non attuare gli atti puniti dalle norme della Convenzione sul genocidio ma, se non li ha commessi prima, perché dovrebbe realizzarli ora, quando: a) il controllo sulla Striscia è in buona parte un fatto acquisito, b) su Israele sono puntati i riflettori della Corte e, di conseguenza, del mondo intero?
Sorge il sospetto che se vi fossero altre vittime collaterali, la Corte possa trarne argomento per incolpare Israele di genocidio, in spregio però del diritto internazionale. Poiché la Corte questo diritto l’ha già violato, non si vede perché non possa rifarlo, trasformando Israele in uno Stato paria.
Postilla
Da parte ebraica, e ora anche israeliana, vi è anche una costante che penalizza gli uni e gli altri.
Giacomo Debenedetti, in 16 ottobre 1943 scrisse: “contrariamente all’opinione diffusa, gli ebrei non sono diffidenti. Per meglio dire: sono diffidenti, allo stesso modo che sono astuti, nelle cose piccole, ma creduli e disastrosamente ingenui in quelle grandi”.
Come già riferito su Mosaico, un amico, un immenso intellettuale (e questa è una chiave per capire chi possa essere) mi scrisse addebitando, giustamente, a Israele il danno che si era auto inflitto non diffondendo i video dei sicari di Hamas, la cui distribuzione avrebbe impedito il dilagare di un odio universale e ferocissimo.
Non è meno ingenuo il fatto che sia mancata spesso la consapevolezza circa la continua, diffusa e persistente diffamazione di Israele (e talvolta anche degli ebrei), sia nella cultura alta che in quella meno alta, la quale aggressione morale non è che l’annuncio di quella fisica.
Questo era un lusso, e i lussi possiamo consentirceli soltanto in tempi lieti.