di Gabriele Nissim
È un testo magnifico quello pronunciato da Yehuda Bauer alla conferenza che si è tenuta a Ra’anana, in Israele, per ricordare il ventennale del genocidio in Rwanda.
Il grande professore, dando voce alla nuova corrente di pensiero che si sta affermando nel mondo accademico israeliano, ha posto un problema chiave: la memoria della Shoah deve diventare un punto di riferimento storico e morale per la prevenzione di tutti i genocidi.
Se è giusto ribadire che la Shoah è stato il genocidio più estremo, perché avvenuto nel cuore della società “civilizzata” e compiuto in modo industriale con l’obbiettivo di annientare gli ebrei in qualsiasi parte del mondo – ha spiegato Bauer – si commette un errore, invece, quando si parla di unicità della Shoah (piuttosto che di non precedente), perché così non si comprende che il genocidio fa parte della storia dell’umanità e si può dunque ripetere non solo nella dimensione che ha colpito gli ebrei, ma anche in nuove dinamiche.
Come dunque prevenire i genocidi, quando si ha la consapevolezza che negli uomini ci sono due inclinazioni spesso in conflitto tra di loro (quella di uccidere e quella di cooperare e persino di salvare, poiché i “giusti” sono fortunatamente una costante in ogni forma di male)?
Lo studioso ricorda che persino nel comandamento non uccidere c’è un’ambiguità. Uccidere all’interno del proprio gruppo non è permesso, ma nelle situazioni di guerra l’assassinio è un valore e il soldato che uccide è riconosciuto come eroe e premiato con tanto di medaglie.
Per Bauer il genocidio è un continuum nella storia e per questo motivo la lotta per la prevenzione è un impegno che non avrà mai fine. Ecco perché la memoria importantissima della Shoah si trasforma in un esercizio di pura retorica, quando non serve a prevenire i massacri del tempo presente.
Yehuda Bauer propone prima di tutto una rivoluzione semantica: preferisce l’espressione atrocità di massa al termine genocidio, perché l’uso che è stato fatto della sua definizione dopo l’approvazione della Convenzione ONU ha tratto spesso in inganno.
Prendendo infatti alla lettera la risoluzione del Palazzo di Vetro del 1948, che si riferisce esclusivamente a crimini di carattere etnico e nazionale, si escludono infatti tutti i crimini genocidari che hanno avuto una differente dinamica, come è accaduto ad esempio per il Rwanda.
Non esisteva infatti una distinzione etnica tra Hutu e Tutsi. Queste categorie sono state inventate dalla dominazione coloniale e usate come una forma di annientamento all’interno dello stesso popolo. La stessa cosa è capitata in Cambogia quando un milione di persone sono state massacrate nel processo di “rieducazione” compiuto dai Khmer Rossi o in Ucraina al tempo di Stalin, quando tre milioni di contadini sono morti per fame a seguito della collettivizzazione forzata.
Per queste situazioni si è coniato recentemente il termine politicidio, che però non è contemplato nella Convenzione delle Nazioni Unite. Così questi massacri compiuti intenzionalmente non sono diventati scandalosi per la comunità internazionale. Di fronte a questo valzer delle definizioni che ha spesso offerto un alibi per non vedere – poiché tutto ciò che non assomigliava alla Shoah non veniva considerato degno di un’azione internazionale – Yehuda Bauer sostiene che il termine atrocità di massa possa includere tutti i crimini che nascono con l’intenzione di annientare una moltitudine di uomini: genocidio, politicidio, pulizia etnica.
Per Yehuda Bauer l’intervento possibile contro questi crimini è caratterizzato sempre da tre fasi: la prevenzione prima che il processo si metta in moto, l’azione internazionale quando il processo è in corso, e l’iniziativa di riconciliazione tra le diverse componenti dopo la crisi, come è avvenuto in Sud Africa e in Rwanda.
Per affrontare queste emergenze bisogna però considerare che è un utopia immaginare di poter trovare un consenso unanime sulla prevenzione dei genocidi alle Nazioni Unite. Sono stati individuati degli strumenti utili, come la Convenzione del ’48, i tribunali internazionali, la responsabilità di proteggere le popolazioni, ma questi accordi nella maggior parte dei casi sono disattesi per i veti incrociati e per gli interessi dei singoli Paesi.
Oggi, di fronte ai genocidi, non esiste né una bacchetta magica per evitarli, né un pulsante che possa essere premuto all’occorrenza in una sede internazionale, ma soltanto l’arte della politica e il senso della responsabilità.
Prima di tutto servono politici capaci di praticare la diplomazia per evitare che i conflitti si trasformino in atrocità di massa dove una parte distrugge l’altra. Oggi, per esempio, nonostante tutte le atrocità, un genocidio non si è verificato tra israeliani e palestinesi, ma se non si costruisce un accordo tra le due parti prevarrà alla fine l’idea che la salvezza di un popolo si possa ottenere soltanto attraverso la distruzione dell’altro, con tutte le conseguenze immaginabili.
E che dire della Siria, dove le istituzioni internazionali sono state incapaci di bloccare uno dei peggiori crimini di massa del nostro tempo, quando forse un accordo politico degli Stati Uniti con la Russia avrebbe potuto portare a una tregua e all’apertura di corridoi umanitari?
Yehuda Bauer ritiene che l’arte della politica debba appoggiarsi alla conoscenza e alle ricerche degli esperti. Così come si studiano i cambiamenti climatici e le aree sismiche del pianeta, dovrebbe esserci un monitoraggio continuo da parte di osservatori che analizzino le aree di crisi dove le atrocità di massa possono esplodere. Lo studio dei genocidi del passato è infatti uno strumento fondamentale per comprendere i segni premonitori nel presente.
Una simbiosi tra accademici e politici, capaci di senso morale e di realismo, può essere la chiave per la prevenzione delle atrocità di massa nel nostro pianeta. In questa ottica, in una recente conferenza internazionale nel Costa Rica, è stato creato il forum Global Action Against Mass Atrocity Crimes.
Senza la conoscenza, anche i migliori politici non possono capire; ma senza il coraggio e l’inventiva dei politici, anche le analisi più approfondite e le posizioni morali rimangono una pura questione di principio.