Le politiche europee e italiane sulla questione arabo israeliana

Mondo

È ormai del tutto evidente che l’Europa e l’Italia portano avanti anche inconsapevolmente due politiche antitetiche sulla questione arabo-israeliana.
Ciò riflette a mio avviso due diverse impostazioni culturali ed ideologiche che fintanto che non troveranno un punto di incontro non riusciranno a dare alcun contributo al Processo di Pace, anzi daranno spazio agli estremisti per portare avanti, in modo spesso ambiguo il loro messaggio assolutista e le loro finalità distruttive.
Prendiamo ad esempio l’attuale politica italiana: il primo ministro Prodi, che recentemente si è recato in Israele, ha chiarito il carattere ebraico di Israele, la assoluta necessità che venga riconosciuto come Stato sovrano dai palestinesi e dal mondo arabo ed ha condannato inequivocabilmente le organizzazioni estremiste e terroriste, riconfermando l’attuale politica estera dell’Unione Europea e della maggioranza del Parlamento italiano. Subito dopo il suo Ministro degli Esteri, On. D’Alema ed autorevolissimo esponente della prima forza di Governo dichiara che occorre intraprendere un dialogo con le stesse organizzazioni (Hamas, Hezbollah) perché democraticamente elette e rappresentanti di una buona parte dei palestinesi. Si potrebbe facilmente rispondere che anche Hitler fu eletto e questo ci dimostra che essere eletti non dà necessariamente la patente di democratico soprattutto se subito dopo si instaura un regime che progressivamente toglie la libertà ed impone l’unico verbo e combatte con la violenza chi si oppone, appunto,… democraticamente.
Quindi il problema è culturale ed ideologico e spesso fra chi, formatosi in un ambiente principalmente di Sinistra (non tutta, anzi), ragiona ancora per categorie concepite dalla propaganda per cui gli arabi sono oppressi ed Israele rappresenta l’Occidente colonialista (ciò che è stato in realtà l’Europa ancora fino agli anni Sessanta) e chi invece, formatosi in ambiente principalmente liberale, libertario e socialista democratico, non ha assorbito tali categorie e affronta pragmaticamente la questione con un pensiero critico. L’estrema destra infine, che per fortuna è stata isolata, soprattutto grazie alle lotte intraprese dalla Sinistra e dai Democratici in generale (vedi in Francia). La lotta antifascista della sinistra europea e la liberazione dal nazi-fascismo sono la pagina più alta di quel movimento, a cui abbiamo contribuito, ed in quanto ebrei dovremmo esserne sempre riconoscenti come lo siamo agli Alleati.

Questa confusione e contrapposizione dà fiato a chi sostiene che in fondo è Israele il problema (con il tragico esempio del presidente iraniano ) e non chi lo vuole distruggere, quasi che se non esistesse Israele scomparirebbero per magia Al Quayda, Hezbollah e tutti i movimenti fondamentalisti che dall’Africa alle Filippine compiono azioni terroristiche in nome di una religione.
Altra cosa è ovviamente il ragionamento di D’Alema e di altri ministri degli esteri europei che considerano il fatto che i movimenti fondamentalisti hanno grande seguito fra la popolazione e che in qualche modo occorre gestire questa circostanza e non semplicemente solo isolarli. Ciò è vero ma non tiene in considerazione il carattere non democratico di quelle società, dove l’eventuale dialogo non avviene con veri rappresentanti del popolo, ma con il clan o il leader che in quel momento è militarmente più forte, rischiando così di invischiarsi in un processo dove ci si interroga su chi è meno sanguinario dell’altro.

Se si vogliono davvero aiutare i palestinesi e arrivare finalmente alla pace occorre investire nella cultura e nell’educazione delle nuove generazioni e togliergli finalmente ogni illusione di un conflitto eterno ed utopico; tutto ciò passa necessariamente dal riconoscimento dello Stato di Israele e dal ripudio della guerra e del terrorismo da parte di tutti i palestinesi, i quali, da sessant’anni purtroppo, “non perdono occasione di perdere le occasioni”.