di L. B.
Grandi titoli e commenti a non finire, fin troppi forse. La pubblicazione di alcuni estratti dell’ultimo libro di Bruno Vespa e in particolare di alcune dichiarazioni di Silvio Berlusconi sulla “persecuzione” di cui si sentirebbero oggetto i suoi figli, ha scatenato ieri, nel giro di poche ore, un pandemonio.
“I miei figli dicono di sentirsi come dovevano sentirsi le famiglie ebree in Germania durante il regime di Hitler. Abbiamo davvero tutti addosso”: queste le esatte parole usate da Berlusconi e riportate da Vespa. E, appena rese note, le giuste reazioni, a tutti i livelli, non si sono fatte attendere. “Berlusconi si vergogni e chieda scusa per aver usato il paragone delle persecuzioni naziste contro gli ebrei per descrivere una supposta situazione di sofferenza della propria famiglia – ha scritto Emanuele Fiano, deputato del Pd, sul suo profilo Facebook. “In quegli anni, in Germania e in tutta Europa, agli ebrei fu impedito di lavorare, di studiare, di espatriare per essere poi trasformati in schiavi e infine, a milioni, gasati e bruciati. Paragonare tutto ciò alla situazione della famiglia Berlusconi è un insulto alla storia, a sei milioni di ebrei uccisi e a quanti, ogni giorno, tentano di impedire che la storia venga dimenticata o utilizzata in maniera strumentale, come oggi ha fatto Berlusconi che deve solo chiedere scusa”.
Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica di Roma, invece, dopo aver definito “infelice” la frase di Berlusconi, ha detto che “Berlusconi non deve delle scuse agli ebrei, ma a se stesso. Rimango basito, il suo è un paragone fuori luogo. Forse sarebbe interessante sentire direttamente i figli”.
La presidente dell’Unione Giovani Ebrei d’Italia, Alessandra Ortona, ha dichiarato che “nessuno dei figli di Silvio Berlusconi è stato rinchiuso in un ghetto, bruciato in un campo di concentramento, fucilato, o trattato in altre feroci maniere”.
II presidente dell’Ucei, Renzo Gattegna, ha fatto sapere con un comunicato stampa che il paragone di Berlusconi è non solo “incomprensibile” ma “offensivo” della memoria di milioni di morti. “L’Italia repubblicana – dice Gattegna – è un paese democratico (…). La vita degli ebrei d’Europa sotto il nazismo fu (…) una catastrofe non soltanto del popolo ebraico ma dell’umanità intera. Ogni paragone con le vicende della famiglia Berlusconi è quindi non soltanto inappropriato e incomprensibile ma anche offensivo della memoria di chi fu privato di ogni diritto e, dopo atroci e indicibili sofferenze, della vita stessa”.
Proprio il presidente Gattegna sembra aver colto e sottolineato la duplice offesa contenuta nelle parole di Silvio Berlusconi: quella alla memoria di tutte le vittime del nazismo ma anche quella all’Italia, che verrebbe indirettamente paragonata al regime nazista.
L’Italia, nelle parole di Berlusconi, ne viene fuori come una Germania nazista, in quanto questa come quella, perseguita i suoi cittadini. E’ forse questo il nocciolo della questione?
Quando dice: “Sono italiano al 100 per cento. In Italia ho le mie radici (…). Questo è il mio paese, qui ho la mia famiglia, i miei amici, le aziende, la mia casa, e dove ho avuto successo come studente, come imprenditore, come uomo di sport e come uomo di Stato. Non prendo neppure in considerazione la possibilità di lasciare l’Italia”, cosa vuol farci intendere l’ex presidente del Consiglio? Che benchè “perseguitato”, non intende lasciare il “suo” paese? Ecco, se questa è la questione, il paragone risulta una volta di più inappropriato.
Quanti ebrei infatti, che si sentivano tedeschi al 100 per cento – come dice Berlusconi – furono costretti a lasciare la Germania? quanti di essi, pur avendo avuto successo come imprenditori, uomini di scienza e di cultura, avevano dovuto non solo prendere in considerazione ma decidere obbligatoriamente per la fuga?
La Germania nazista, se vogliamo rimanere nel paragone di Berlusconi, non offrì il dubbio della scelta ai suoi cittadini ebrei (status che persero dopo le leggi di Norimberga del 1935): o la fuga o la morte (come dimenticare che nella sola Notte dei Cristalli, il 9 novembre 1938, furono uccisi 90 ebrei e 30.000 furono deportati?). Eppure essi erano e si sentivano tedeschi in tutto e per tutto. “Sono uno scrittore tedesco e un europeo tedesco” scriveva sofferente dalla Palestina Arnold Zweig; “La lingua tedesca non è forse la mia lingua, quella nella quale io sento e penso, parlo e agisco? Non è parte del mio essere la terra natale (Heimat) che mi ha nutrito e nella quale sono cresciuto?” scriveva nella sua autobiografia Ernst Toller, altro ebreo tedesco eccellente, fuggito dalle persecuzioni naziste, prima in Inghilterra e poi negli Stati Uniti.
Nonostante questo profondo, fortissimo legame con la Germania (le prime pagine del libro di Tom Segev, “Il settimo milione” descrivono benissimo la condizione, lo stato di sofferenza e frustrazione e incredulità, in cui si trovarono gli ebrei tedeschi che scelsero di emigrare in Palestina negli anni ’30…), migliaia e migliaia di ebrei tedeschi furono prima privati di ogni diritto, poi costretti all’esilio oppure uccisi. A fronte della storia, quella vera, le parole di Berlusconi fanno impallidire e poi però anche, persino, “sorridere” per quanto sono fuori luogo.
L’Italia è ben lungi dall’assomigliare alla Germania di Hitler, e la condizione dei figli di Berlusconi, ben lungi dall’assomigliare a quella delle famiglie ebree sotto il regime nazista. Non c’è molto altro da aggiungere; il resto è solo un grande, indiretto, volano per le vendite del libro di Bruno Vespa (e la campagna elettorale di Silvio Berlusconi).