di Davide Foa
Sette arabi israeliani sono accusati di aver creato, per la prima volta in Israele, una cellula terroristica legata al sedicente Stato Islamico. L’Isis avrebbe quindi varcato i confini israeliani, secondo quanto dichiarato dall’agenzia d’intelligence, Shin Bet.
L’accusa è stata presentata dinnanzi al tribunale distrettuale di Nazareth; si sospetta che alcuni degli accusati siano stati in contatto con israeliani stabilitisi in Siria per combattere al fianco dell’Isis. Una volta reclutati, alcuni di loro si sarebbero esercitati nei boschi della bassa Galilea, nei pressi di Yafa an-Naseriyye.
Proprio a Yafa risiedono Ahmed Mahagna (20), Mohammad Sharif (22) e Mohammad Ghazali (23), accusati di aver programmato degli attacchi contro basi militari dell’IDF. I primi due, avrebbero contattato Muhammad Kilani e Muhammad Kananneh, due arabi israeliani ora combattenti per lo Stato Islamico. Il trio avrebbe inoltre ricevuto diversi aiuti per mettere in atto i piani terroristici, sia per quanto riguarda l’acquisto di armi, sia per la progettazione vera e propria.
Per questo l’accusa dello Shin Bet si allarga, coinvolgendo anche chi avrebbe aiutato nel recupero delle armi e nell’organizzazione degli attacchi. Se alle armi ci hanno pensato i fratelli Aljawabra, un altro aiuto per la giovane cellula terroristica sarebbe arrivato direttamente dal carcere.
Il ventiseienne Ahmed Ahmed, incarcerato nel 2009 per aver assassinato un tassista di Nazareth, sarebbe riuscito a progettare gli attacchi insieme al trio, necessariamente via telefono.
Stando a quanto dichiarato dallo Shin Bet, gli accusati hanno già confessato, durante gli interrogatori, di aver cercato delle armi, di essersi allenati e di aver raccolto informazioni sulle basi dell’IDF allo scopo di attaccarle in nome dell’ISIS.
Ma non è tutto. Esaminando il telefono cellulare di Sharif, uno degli accusati, gli investigatori hanno rinvenuto diverso materiale collegato con lo Stato Islamico. In uno di questi video, l’accusato spiega che gli oppositori al Califfato devono essere sgozzati.
“Sono tutte menzogne”, non ci sta il padre di Ghezali, negando qualsiasi rapporto tra l’ISIS e suo figlio: “viviamo in questo paese e rispettiamo la sua gente, ebrei e arabi.”
Dalla nascita dello Stato Islamico, è la prima volta che in Israele si presenta il pericolo di una cellula terroristica ad esso collegata. Eppure, non sono mancati casi in cui persone isolate sono state ritenute vicine all’Isis, come accaduto un mese fa con protagonista una donna arabo israeliana madre di cinque figli e residente nel nord del paese. L’agenzia d’intelligence israeliana ritiene oggi che più di 40 arabi israeliani abbiano deciso di unirsi al Califfato negli ultimi due anni.