Dopo la condanna dell’Onu e la prosecuzione delle violenze sui civili da parte delle forze di polizia del regime, Assad viene isolato anche dal mondo arabo.
Kuwait, Baherein e Arabia Saudita hanno già richiamato in patria i loro ambasciatori e per oggi è atteso anche l’ultimatum di Ankara. Gli Stati Uniti in particolare starebbero chiedendo alla Turchia di fare pressioni su Assad perché ritiri i soldati e liberi tutti i prigionieri. Il ministro degli esteri turco, Davutoglu, per parte sua ha dichiarato che “la Turchia non può più stare a guardare quello che sta accadendo”. Se non ci saranno riforme in tempi rapidi, il regime di Assad dovrà sopportare le conseguenze”. E le conseguenze secondo l’ambasciatore russo alla Nato, Dmitry Rogozin, saranno quelle di un attacco militare. Rogozin sostiene infatti che l’Alleanza militare stia pianificando un’operazione militare sostenuta propria dalla Turchia.
Condanne alle violenze in Siria sono venute anche dall’università sunnita de Il Cairo “Al Azhan”. “La situazione ha passato ogni limite. Per lungo tempo Al Azhar ha pazientato e evitato di parlare della situazione in Siria per una questione di sensibilità” ha dichiarato Ahmed al Tayyeb, imam di Al Azhan. Ora però, prosegue, “non c’è altra soluzione che mettere fine a questa tragedia araba e islamica”, divenuta “inaccettabile”.
Anche l’Europa sta pensando a nuove sanzioni. Il servizio diplomatico europeo infatti sarebbe stato incaricato di preparare per i primi di settembre, “una lista di opzioni per andare oltre a quelle sanzioni già in vigore”, fra queste ci sarebbe anche l’embargo su petrolio e gas.
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Il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha chiesto ieri la fine immediata delle violenze condannando fermamente le “diffuse violazioni dei diritti umani e dell’uso della forza contro i civili da parte delle autorità siriane”.
Dopo che, nelle manifestazioni di protesta di Hama dei giorni scorsi, più di trecento civili sono stati uccisi – anche a colpi di cannonate, come si è visto nelle immagini che hanno fatto il giro del mondo – è intervenuta la condanna dell’Onu. Non una risoluzione, a cui Russia e Cina avrebbero posto il veto, ma una dichiarazione – dalla quale tuttavia, il Libano – che risente dell’influenza di Damasco, come ricorda il quotidiano Haaretz – ha deciso di dissociarsi.
Il Consiglio di Sicurezza, oltre alla fine delle violenze, chiede alle due parti di “agire con la massima moderazione e astenersi da rappresaglie, inclusi gli attacchi alle istituzioni dello Stato”.
La dichiarazione mette fine a tre giorni di riunioni del Consiglio di Sicurezza, dalle quali Europa e Stati Uniti erano uscite con grande frustrazione. Non solo per le minacce di veto da parte di Russia e Cina, ma anche per l’incapacità di trovare il sostegno dei paesi membri temporanei del Consiglio, come Brasile, India e Sud Africa.
La Russia ha giustificato la propria contrarietà alla risoluzione proposta da europei e americani, ricordando il caso della Libia. L’intervento militare e i raid aerei su Tripoli, furono decisi sulla base di quanto contenuto nella risoluzione del Consiglio dell’Onu del 17 marzo. Un’interpretazione della risoluzione che secondo Mosca “fu un abuso”.
Nei giorni scorsi Londra aveva ventilato la possibilità di un intervento militare Nato, ma la proposta è stata subito bocciata. “Non ci sono le condizioni”, ha dichiarato il segretario generale Nato, Anders Foghb Rasmussen. “In Libia conduciamo un’operazione basata su un mandato chiaro dell’Onu. Abbiamo il sostegno dei paesi della regione. Queste due condizioni non sono presenti per la Siria”.
Intanto le violenze in Siria continuano. I carri armati, gli stessi che domenica erano entrati ad Hama sparando sulla folla, sono tornati ad occupare la città e, secondo le testimonianze dei residenti, sono tornati a fare fuoco sui manifestanti in piazza.