Manoscritti ebraici in Vaticano

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Faldoni di saggezza.

“Faldoni di saggezza”: così il poeta ispano-ebreo Moses ibn Ezra definiva i manoscritti medioevali ebraici. Oggi una delle collezioni di Judaica più importanti al mondo è accessibile agli studiosi grazie a un elenco completo, custodito nella Biblioteca Vaticana. Ottocento voci, distribuite in undici fondi manoscritti.

La collezione è una delle più ricche al mondo, assieme a quelle di Gerusalemme, Oxford e Parma. Il primo inventario si perde nella notte dei tempi: è il Catalogus di Giuseppe Simonio Assemani (1687-1768), “Primo Custode” della Biblioteca Vaticana. Mezzo secolo fa, Umberto Cassuto ne fece un più moderno inventario analitico (Moshe David Cassuto, 1883-1951). Ma ora, grazie all’Institute of Microfilmed Hebrew Manuscripts (IMHM) della Jewish National and University Library di Gerusalemme, esiste un catalogo preciso e completo.

Il risultato del loro lavoro sta nel volume di quasi 800 pagine Hebrew Manuscripts in the Vatican Library. Il curatore è Benjamin Richler, direttore dell’IMHM presso la National Library of Israel, aiutato per le descrizioni paleografiche e codicologiche da Malachi Beit-Arié, professore di Codicologia e paleografia alla Hebew University, e Nurit Pasternak, ricercatrice nella stessa università. La prima presentazione italiana del libro, organizzata dall’Associazione Amici dell’Università di Gerusalemme, è stata al museo Diocesano di Milano, sabato 31 gennaio, a poche ore da quella avvenuta in Vaticano.

La collezione copre tutti i campi della tradizione giudaica: Bibbia e commentari, Midrash (tra cui il più antico esemplare noto di Sifra, del IX secolo), Talmud e i suoi commentari, che con oltre 25 testimoni e 40 commentari è la più ricca collezione al mondo. Ma c’è anche tanta filosofia, di autori ebrei e non solo, oltre che matematica, medicina, letteratura e poesia.

Il catalogo è stato redatto consultando i microfilm dei manoscritti resi disponibili dalla Biblioteca Vaticana: ciascuno degli esperti dell’IMHM ha rivisto la descrizione di tutti i manoscritti riguardanti la loro area di specializzazione.
“Il mio compito è stato redigere le descrizioni dei manoscritti in inglese: ho riesaminato tutti i microfilm, confrontandoli con le schede dell’archivio cartaceo. Poi ho aggiunto la bibliografia”. Così Benjamin Richler riassume il suo lavoro al pubblico milanese. Quest’uomo alto, timido e di poche parole è stato direttore dell’Institute of Microfilmed Hebrew Manuscripts – l’istituzione che ha redatto il catalogo – ed è considerato un grande maestro per tutti coloro che si occupano di codicologia ebraica.

La descrizione fisica dei manoscritti è stata completata direttamente nelle sale della Biblioteca Vaticana dal professor Malachi Beit-Arié e da Nurit Pasternak. “Abbiamo avuto la fortuna di poter operare in loco sugli originali”, commenta Beit-Arie, Professore di Codicologia e paleografia alla Hebew University, “e abbiamo constatato con mano l’eccellente stato di conservazione di tutti i manoscritti. Questo è di fondamentale importanza, perché a differenza dei manoscritti greci o latini, quelli ebraici non furono conservati nelle biblioteche reali o nelle collezioni di nobili mecenati, ma prodotti per uso e consumo privato. Quindi si sono degradati o sono andati persi, principalmente per l’usura del tempo. Chi li ha salvati dalla dispersione e dall’oblio sono state proprio le istituzioni cristiane, come la Biblioteca Apostolica”.

Ma perché la biblioteca del Papa ha raccolto nelle sue sale questi documenti, così importanti per la cultura ebraica e universale? La risposta la dà Monsignor Fumagalli: “ I testi ebraici inizialmente erano necessari alla “nuova” religione Cristiana per poter tradurre la Bibbia dall’originale. In età umanistica e rinascimentale, l’interesse per i libri ebraici si estese dall’area biblica a quella letteraria e scientifica in senso più ampio. La sete di Hebraica Veritas –per lo più in funzione conversionistica- spingeva molti cristiani a raccogliere manoscritti ebraici, che finirono col confluire alla Vaticana”.

Le parole di Mordechay Lewy, l’ambasciatore d’Israele presso la Santa Sede, riassume lo spirito dell’ incontro: “Questo catalogo rappresenta una pietra miliare nella collaborazione culturale tra il Vaticano e Israele. Le nostre relazioni hanno solo 15 anni, ma entrambi possiamo guardare indietro per migliaia di anni. Ci auguriamo che questo progetto abbia suscitato abbastanza curiosità intellettuale da stimolare il desiderio di approfondire la nostra collaborazione”.

Tutti gli interventi dei relatori sono disponibili sul sito www.israele.net