di Anna Balestrieri
Negli ultimi mesi, Doha, capitale del Qatar, è stata al centro di intensi negoziati tra Israele e Hamas, volti a raggiungere un cessate il fuoco duraturo nella Striscia di Gaza. Questi colloqui, mediati principalmente dal Qatar con il supporto di Egitto e Stati Uniti, hanno affrontato numerose sfide e battute d’arresto.
Passi avanti nei negoziati
Un passo avanti significativo è stato fatto nelle negoziazioni per un accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hamas a seguito di una “svolta” avvenuta a mezzanotte. Secondo quanto riportato da un funzionario informato sui colloqui, lunedì 13 gennaio è stata presentata alle due parti una bozza finale dell’accordo da parte del Qatar, mediatore principale insieme agli Stati Uniti ed Egitto. I colloqui, tenutisi a Doha, hanno visto la partecipazione di rappresentanti di alto livello, inclusi i capi del Mossad e dello Shin Bet israeliani, il primo ministro del Qatar e inviati delle amministrazioni di Joe Biden e Donald Trump.
Il presidente uscente Biden ha dichiarato che l’accordo, da lui sostenuto, è “sul punto” di essere raggiunto. L’intesa prevede la liberazione degli ostaggi, la fine delle ostilità, una maggiore sicurezza per Israele e un notevole incremento degli aiuti umanitari alla popolazione palestinese colpita duramente dal conflitto. Hamas ha espresso interesse a raggiungere l’accordo, sebbene persistano divergenze su questioni centrali come il ritiro delle forze israeliane da Gaza e il disarmo di Hamas.
Gli inviati americani e qatarioti hanno lavorato intensamente per appianare le ultime differenze. L’inviato di Trump, Steve Witkoff, ha svolto un ruolo chiave, mentre Biden ha sottolineato l’urgenza di finalizzare l’accordo prima del termine del suo mandato, previsto per il 20 gennaio. Anche il Segretario di Stato Antony Blinken ha ribadito che le parti sono “più vicine che mai” a un’intesa.
Nel frattempo, il conflitto continua a mietere vittime. Israele ha subito perdite significative, con nove soldati uccisi negli ultimi giorni. Nella giornata di lunedì, bombardamenti israeliani a Gaza hanno causato almeno 40 morti, secondo fonti palestinesi.
I dettagli dell’accordo
Secondo una fonte palestinese citata dalla BBC, tre ostaggi saranno rilasciati all’inizio dell’accordo, seguiti da altri quattro una settimana dopo.
La prima fase prevede il rilascio di 33 ostaggi “umanitari” (donne, bambini, anziani, malati e soldatesse) in 42 giorni. La maggior parte degli ostaggi è presumibilmente viva, ma non ci sono conferme ufficiali sul loro stato. Le donne saranno le prime a essere liberate. L’accordo include uno scambio: 50 prigionieri palestinesi per ogni soldatessa (di cui 30 con ergastolo) e 30 prigionieri per ogni civile israeliano, per un totale di 1.000 prigionieri palestinesi. Alcune figure di rilievo, come Marwan Barghouti, non saranno rilasciate. Israele chiarisce che nessun “terrorista omicida” o coinvolto negli attacchi del 7 ottobre sarà liberato.
Il ritorno dei palestinesi sfollati a Gaza sarà regolato con percorsi separati per pedoni e veicoli, sotto controllo congiunto egiziano-qatariota. Tsahal manterrà una zona di sicurezza di 800 metri lungo i confini.
Al 16° giorno inizieranno discussioni sulla seconda fase, che includerà la liberazione di uomini adulti e soldati, oltre alla restituzione dei corpi. La terza fase riguarderà la governance e la ricostruzione di Gaza, con possibilità di ridurre le fasi a due per accelerare il processo.
Martedì 14 gennaio si terrà a Doha un incontro chiave con rappresentanti americani, israeliani e qatarioti. Internamente, Netanyahu affronta pressioni da dieci deputati di destra che chiedono il mantenimento della presenza militare a Gaza e il rilascio di tutti gli ostaggi.
Progressi e ostacoli nei colloqui e il ruolo del Qatar come mediatore
Il Qatar ha svolto un ruolo cruciale come intermediario neutrale, ospitando delegazioni di entrambe le parti e facilitando il dialogo. Tuttavia, a novembre 2024, l’emirato ha annunciato la sospensione della sua mediazione, citando la mancanza di volontà da parte di Israele e Hamas di negoziare in buona fede. Una fonte diplomatica ha dichiarato: “Finché ci sarà un rifiuto a negoziare un accordo in buona fede, non potremo continuare a fare da mediatori“. Gli ostacoli al raggiungimento della tregua in questi mesi sono stati presentati sia da Hamas sia dalla destra ultranazionalista israeliana.
Nonostante alcuni progressi iniziali, i negoziati hanno incontrato ostacoli significativi. A gennaio 2025, una delegazione israeliana di alto livello, comprendente il capo del Mossad David Barnea e il capo dello Shin Bet Ronen Bar, si è recata a Doha per discutere di un possibile accordo su ostaggi e cessate il fuoco. Tuttavia, le divergenze sulle condizioni, come il ritiro delle truppe israeliane da Gaza e la liberazione degli ostaggi, hanno finora impedito il raggiungimento di un’intesa definitiva.
Hamas ha espresso il desiderio di raggiungere un accordo il prima possibile, chiedendo un cessate il fuoco completo e il ritiro delle forze israeliane dalla Striscia di Gaza. Tuttavia, le richieste del movimento islamista e la sua percepita mancanza di cooperazione hanno complicato ulteriormente i colloqui. Con l’insediamento imminente del Presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump, previsto per il 20 gennaio 2025, c’è una rinnovata urgenza nel raggiungere un accordo prima di un possibile cambiamento nelle dinamiche diplomatiche (ft.com). Tuttavia, le profonde differenze tra le parti e la complessità delle questioni in gioco rendono incerto il futuro dei negoziati.